15 luglio 2015

Fino al 31.VII.2015
 Simon Dybbroe Moller, Buongiorno Signor Courbet Francesca Minini, Milano

 

di

Grazie a Simon Dybbroe Moller (Aarhus-Danimarca, 1976) “la pesante architettura del predigitale” ritorna visibile nei resti di una civiltà quasi evaporata, qui esposti come i reperti museali di una realtà ormai schiacciata ai margini di un virtuale che a poco a poco la inghiotte. E così noi, schiavi della smaterializzazione imperante, ci ricordiamo di quel mondo che continuiamo ad abitare inconsapevoli e persi nei meandri di una rete impalpabile, dove il corpo non è che il prolungamento rimosso del nostro smartphone. Ma ecco che quei segni sparsi, quelle tracce solide dell’organico, del corporeo, del materiale, all’improvviso ri-sostanziano “quella che un tempo chiamavamo natura” e che ci siamo illusi di aver superato nella conversione al digitale. Infatti, lo spesso muro di mattoni di Exposure (2015) ri-materializza quella distanza fisica che anche nell’era dell’iperconnessione resta sempre incolmabile, se non attraverso uno spostamento reale a cui la vintage Basso road bike lì appesa allude. 
Simon Dybbroe Moller, Ad #2, 2015, acrilica, vinyl, Urinal Fly stickers, Frame,126 x 86 cm (detail)
E il contatto continua ancora ad esserci solo nell’esperienza quasi estinta del peso del corpo dell’altro, che ci pare d’un tratto di ri-sentire nella semplice stretta di The Embrace (2015). Di colpo la pesantezza ci schiaccia, immutata, nella scioccante presa di coscienza di possedere ancora un corpo. La degenerazione fisiologica, dunque, ci insegue ancora, implacabile, come mosche appiccicate alla materia organica (che l’artista incolla sul proprio nome-corpo in Ad#2, 2015) che continuiamo ad essere anche dopo la virtualizzazione apparente. Ed è, infine, con la serie degli Shame Shield (2015) che Simon Dybbroe Moller coglie nell’orrore atavico, nella vergogna della carne sepolta nell’inconscio collettivo il motore della civiltà e del progresso tecnologico, dai divisori in ceramica dei bagni pubblici per uomini fino alle forme più avanzate del digitale. Infatti, depositando colate di materia cromatica sul liscio candore dei divisori, l’artista squarcia, come un contemporaneo Courbet, queste “moderne foglie di fico”, che con la decenza di una superficie lavabile sperano di coprire il puzzo e le tracce torbide di un organico indelebile e ancora lì ad affliggere un’umanità troppo fragile per accettarsi fino in fondo.
Martina Piumatti 
mostra visitata il 9 maggio 
Dal 3 maggio al 31 luglio 2015

Simon Dybbroe Moller. Buongiorno Signor Courbet                                                                   
Francesca Minini                                                                                                                        

Via Massimiano, 25-20134 Milano

Orari: da martedì a sabato 11.00 -19.30 


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