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22
ottobre 2007
fino al 31.X.2007 Mattia Moreni Milano, Galleria Morone
milano
Un artista irriverente per una galleria d’opposizione. Moreni scelse l’isolamento per poter sfogare la propria vitalità creativa. E il gallerista Enzo Spadon mette in atto una poetica del “non opporsi per opporsi”...
In nome dell’aspetto umano dell’arte e non del suo valore di mercato, la Galleria Morone ospita le opere di un artista dalla ricerca incessante, che non si fermò a raccogliere allori, ma continuò a manifestare forza pittorica e volontà di denuncia fino al termine della propria vita. La mostra si apre con opere degli anni Ottanta e Novanta, le ultime di Mattia Moreni (Pavia, 1920 – Brisighella, Ravenna 1999), appartenenti alla serie del “regressivo consapevole”. Ispira questi quadri -prevalentemente autoritratti- una poetica del “talento dei senza mezzi”. Il talento più puro, quello dei bambini e dei folli, non omologati nelle gabbie dell’educazione, non frustrati dalle convenzioni della società borghese.
La regressione infantile si avverte nel disegno: per lo più grossi faccioni dai lineamenti geometrici o figure sproporzionate e pesanti simili a robot. Ma l’istintività travolge anche la tecnica pittorica: colori forti, stesi con violenza, sovrapposti con un effetto d’incisione. Il grezzo e il difforme feriscono lo spettatore, ma comunicano allo stesso tempo una gioia di vivere dietro la quale non si nasconde una serena ingenuità infantile, bensì l’esperienza della sofferenza.
Il principale bersaglio delle opere in questione è la meccanizzazione dell’essere umano. L’autore lancia un avvertimento sul pericolo che le macchine arrivino a pensare al posto dell’uomo e che quest’ultimo vada incontro alla morte cerebrale. Nell’Autoritratto n° 16 spunta da un tubo un mascherone alla Frankenstein, la cui ottusità si coglie negli occhi sbarrati e nella lingua a penzoloni. Alla figura sono accostate frasi in corsivo: “moreni a 69 anni di sua età intubato pure lui, per una breve apparizione fra un tubo e l’altro”. L’ironia dell’artista si coglie nell’apposizione della propria età alle opere, come farebbe una maestra o una madre per i disegni del figlio all’asilo. La forza dissacrante sta nel dichiararsi intubato e non per questo rinunciare alla protesta.
Dopo una scorsa alle altre opere risalenti agli anni ’50 e ’60, caratterizzate da una maggiore astrazione, ci si sposta in via della Zecca Vecchia, dove la mostra prosegue all’interno del Garage Sanremo. Compaiono qui tre opere monumentali degli anni ’60. In un campo grigiastro, fili d’erba agitati richiamano stati d’animo boccioniani o anime infernali. In un altro campeggia un’anguria, soggetto fondamentale nell’attività pittorica di Moreni, simbolo di carnalità e vita. Un melo è posizionato esattamente al centro di una composizione dall’equilibrio geometrico, ma rifugge la staticità grazie a pennellate dinamiche che ne sconvolgono la chioma, riprendendo il colore notturno e la direzione dell’erba sottostante. Il cielo, mosso anch’esso, richiama atmosfere romantiche. Evoca un sentimento sublime.
La regressione infantile si avverte nel disegno: per lo più grossi faccioni dai lineamenti geometrici o figure sproporzionate e pesanti simili a robot. Ma l’istintività travolge anche la tecnica pittorica: colori forti, stesi con violenza, sovrapposti con un effetto d’incisione. Il grezzo e il difforme feriscono lo spettatore, ma comunicano allo stesso tempo una gioia di vivere dietro la quale non si nasconde una serena ingenuità infantile, bensì l’esperienza della sofferenza.
Il principale bersaglio delle opere in questione è la meccanizzazione dell’essere umano. L’autore lancia un avvertimento sul pericolo che le macchine arrivino a pensare al posto dell’uomo e che quest’ultimo vada incontro alla morte cerebrale. Nell’Autoritratto n° 16 spunta da un tubo un mascherone alla Frankenstein, la cui ottusità si coglie negli occhi sbarrati e nella lingua a penzoloni. Alla figura sono accostate frasi in corsivo: “moreni a 69 anni di sua età intubato pure lui, per una breve apparizione fra un tubo e l’altro”. L’ironia dell’artista si coglie nell’apposizione della propria età alle opere, come farebbe una maestra o una madre per i disegni del figlio all’asilo. La forza dissacrante sta nel dichiararsi intubato e non per questo rinunciare alla protesta.
Dopo una scorsa alle altre opere risalenti agli anni ’50 e ’60, caratterizzate da una maggiore astrazione, ci si sposta in via della Zecca Vecchia, dove la mostra prosegue all’interno del Garage Sanremo. Compaiono qui tre opere monumentali degli anni ’60. In un campo grigiastro, fili d’erba agitati richiamano stati d’animo boccioniani o anime infernali. In un altro campeggia un’anguria, soggetto fondamentale nell’attività pittorica di Moreni, simbolo di carnalità e vita. Un melo è posizionato esattamente al centro di una composizione dall’equilibrio geometrico, ma rifugge la staticità grazie a pennellate dinamiche che ne sconvolgono la chioma, riprendendo il colore notturno e la direzione dell’erba sottostante. Il cielo, mosso anch’esso, richiama atmosfere romantiche. Evoca un sentimento sublime.
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Galleria Morone
Via Nerino, 3 (zona via Torino) – 20123 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 11-19; festivi e lunedì su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel. +39 0272001994; fax +39 0272002163; xplanart@galleriamorone.it; www.galleriamorone.it
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