Parallelamente al teatro di genere di
Kinkaleri, all’esperienza con il collettivo
ZimmerFrei e alla sperimentazione audiovisiva di
Invernomuto,
Davide Savorani (Faenza, Ravenna, 1977; vive a Bologna) sviluppa negli anni un buon talento grafico. Il “passaggio” ad Artopia racconta un
modus operandi piuttosto versatile, in cui il concetto chiama immagini, gesti, dinamiche performative.
L’installazione
Parade rivela un preliminare istinto coreografico: quattro strutture minimaliste in ferro satinato mimano lo scontro fisico, in un limite estremo di vicinanza. Macchine aperte e relazionali, concettualmente degli strumenti da guerra, ma innocui e inconsistenti nella realtà. Le “sculture” di Savorani sono oggettualità poco presenti, rafforzate dal meccanismo dell’allusione, che simulano ostilità accoppiata a fratellanza.
Secondo lo stesso principio di ambiguità, la serie
Gang in coma procede alla misurazione delle forze in campo, alla stima dell’attacco e del rilascio energetico. I quattro disegni – ognuno accompagnato da una miniscultura ottenuta dalle pagine delle enciclopedie Garzanti degli anni ’60 – propongono una combinazione di gesti e posture delle dita, in un percorso di addizione e sottrazione dei volumi.
Percorrendo le altre due serie di disegni presenti in mostra, si scopre il segreto esecutivo di Savorani: mai un’azione diretta sul supporto cartaceo. L
e figure prendono corpo attraverso il filtro della carta carbone, soddisfacendo la necessità di interporre un
medium tra la mano e l’opera e di arrivare al risultato attraverso delle
couverture. Il ricalco di un’immagine, come presa di distanza dall’originale e come condizione determinante della disegno stesso, produce spettri grafici blu e grigi. La morbida pastosità del tratto attutito dalla carta carbone sembra decidere una strategia per incrinare spazio del disegno, stabilendo le dinamiche del suo attraversamento.
I soggetti delle slide di Savorani danno fondo a un archivio mnemonico di informazioni assorbite passivamente, sintesi di elementi immagazzinati ed eventi laterali che tornano ad agire in modo inintenzionale. Le brevi “biografie impersonali” procedono secondo uno stile di narrazione fuzzy, che non prevede una consequenzialità; e la quadreria che le presenta diventa ricombinante, scomposta e libera. Nella serie verticale
A place called home assistiamo al gioco d’inclusione di bizzarri moduli abitativi, un “fare e disfare” continuo che perpetua il
momento intermedio della costruzione, come in un perenne andirivieni.
La regolarità e l’ordine delle opere in mostra, la pulizia dell’allestimento e il luogo ospitante – pensato come attivo e capace di sostenere un rapporto – si rivelano un supporto fisico e intellettuale al
setting.
Gli interventi minimi di Savorani, come il nodo che lega i quattro vessilli a riposo di
Capoquattro/Flags, sembrano infatti direzionati a concertare i fattori in gioco nella composizione, secondo allontanamenti e avvicinamenti. Alla prova l’errore e la differenza, come dispositivi per un regime energetico aperto.