Di rado la disciplina della pittura oggettiva la
volontà di raffigurazione in massimo
grado come nell’opera di
Luciano Ventrone(Roma, 1942; vive a Roma e
Collelongo, L’Aquila). Qui il confronto con le dinamiche dell’educazione visiva
sublima la percezione sensibile in un’appercezione
mentale che non conserva più il sé come referente diretto,
trovando invece nella “realtà” del quadro stesso il correlato del leibniziano “
percepire
del percepire”
.Quando ci si confronta con le nature morte, i
nudi e le vedute di Ventrone occorre quindi modificare il concetto e l’immagine
della tecnica della pittura a olio, mettendoli momentaneamente fra parentesi,
per render conto dell’illusione di realtà di quanto si dà all’osservazione.
La base può essere una fotografia, ma il punto
d’arrivo non è una foto dipinta. Il microspessore di pittura e i tocchi di luce
pittorica sono quasi sempre evidentissimi, salvo alcune zone della superficie,
in cui gli interventi pittorici e quelli non pittorici si amalgamano, quasi
mimetizzandosi l’un nell’altro. Insomma, le apparenze
non ingannano.
Si vedano le porzioni di film pittorico del
panno sul capo della modella raffigurata nel dipinto
Segreti, dove alcune macchie
di colore suscitano un “sospetto”, diciamo, di un eccesso d’imitazione
dell’effetto fotografico. Si tratta certamente di opere realizzate con una
perizia molto artigianale, basata su un vero e proprio metodo affinato
dall’esperienza, in cui, ad esempio, la visione classica della natura morta si
riorienta nella direzione della limpidezza del genere
still life peculiare
all’immagine dell’
advertising. Così, i colori della natura non sono imitati
bensì filtrati
attraverso un lavoro che consegue un risultato senza dubbio
affascinante.
Ma – ed è un paradosso solo apparente –
sarebbe inesatto parlare d’iperrealismo. Piuttosto, di
astrazione: si veda il
quadro
La polpa,
dove la raffigurazione sembra più vicina al dettaglio astratto di
una natura morta. In questa, come in tutte le opere in mostra, siano esse ceste
di frutta, nudi femminili o paesaggi, brilla la grande minuzia dei dettagli,
con un’enfatizzazione che a volte rasenta la ridondanza. Ma, in fin dei conti,
proprio questo è il
quid di Ventrone: la voluttà delle cose
raffigurate, l’uva che sembra fuoriuscire dal quadro, la superficie
frastagliata delle foglie.
La pittura, levigata come le campiture della
modella di
Segreti e
di
Riflessioni, non è insomma mai semplice imitazione della
fotografia, ma una sfida alla percezione sensibile e all’appercezione
intellettiva. Una ricerca che dunque trascende il rapporto mimetico con la
realtà, lambendo
con un pizzico di follia, come il titolo di una natura morta, i
territori dell’immagine. Nella direzione della “sovrumana” adesione a una sorta
di metafisicità della rappresentazione.
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Che inutile spreco di energia.