È la sua stessa immagine a parlare di lui, eccentrico
personaggio dal raffinato gusto estetico, e quello spioncino che porta con sé
nella sua prima personale. Quella di un artista che gioca e si diverte a
scoprire le cose con occhi diversi. Uno spioncino che sta sulla porta di vetro
all’ingresso della galleria, e poi su quella bianca, aperta: una piccolissima
scultura. Qualcosa per “
avvicinarsi a se stessi, la capacità di interpretare
le cose”, come
dice
Pasquale di Donato (Napoli, 1982; vive a Milano).
Le sue opere, cariche d’ironia, raccontano qualcosa del
nostro tempo, ribaltando la prospettiva, la percezione visiva. Un vassoio, un
vetro blu, una scia lasciata da un aereo nel cielo, una canna e tutto cambia: è
una striscia di cocaina, sono
Aspirazioni celesti.
Cielo e nuvole sfilano nel polittico di nove piccoli
quadri di vetro: nuvole in alto, laddove i pensieri vanno a morire; nuvole
rade, nuvole agglomerate, nuvole appena. Cambia l’intensità e il colore del
cielo, perché il cielo sempre uguale non è. E perché ogni volta siamo noi a
essere diversi. Nove bottiglie di plastica, vuote, sono lì a ricordare, con
ironia e doppio senso, l’
In-capacità umana.Poi,
Tutto fumo, che è anche
A Milano non c’è più la nebbia. Ancora un approccio ironico e
una sorpresa: una grande teca trasparente su un basamento bianco si riempie di
fumo bianco, che si dissolve e poi ritorna, a tempo. È l’incontro del bianco,
con la trasparenza sul muro candido, che fa entrare nella dimensione
dell’effimero. In quella di una nebbia che offusca l’occhio e la mente.
Il gioco continua, con l’opera che ha il titolo di una
filastrocca,
Tutti giù per terra: un tombino di ghisa, arrugginito. Rinchiuso da un
fisheye, uno specchio convesso che riflette le immagini da “introiettare” ad
ampio raggio. L’occhio e la percezione, gli aspetti privilegiati di un moderno
Dorian Gray che colleziona oggetti e accessori di moda, che vive la
contemporaneità, tenendo per mano qualcosa di ieri e di oggi. Che ironizza su
se stesso quando esordisce con l’installazione
Il qui presente è assente, e s’identifica in un cappello
alla Borsalino, un garofano bianco, un bastone con pomello d’argento, un paio
di scarpe in stile inglese.
Di nuovo, un doppio senso: una bottiglia e due bicchieri,
vuoti, immersi in vino rosso, o in acqua colorata. Laddove il pieno è fuori, il
vuoto è dentro: è la scia del pensiero di un artista che crea con rigore ed
eleganza, anche quando riproduce abitazioni di ieri e di oggi, come case di
bambola in legno colorato. I vasi di fiori, il balcone rovesciato. Soffitti
all’ingiù…
Forse è la dimensione del quotidiano, ma qui ordine e caos
s’incontrano con stile. E tutto sembra tranquillo, nei dettagli di quest’opera,
che fa pensare a una casa di ibseniana memoria. Da cui partire per cambiare le
cose.