È vero, il linguaggio non si inventa. C’è. Lo si modella, lo si plasma, lo si riduce, lo si oppone, ci si gioca, vi si inciampa. Gli artisti da sempre sono anche poeti, ma a partire dal secondo dopoguerra e negli anni Sessanta con “Poesia visiva” si fonda un vero e proprio sodalizio tra arte e linguaggio elevando la parola a statuto, espressione, bersaglio, segno.
E proprio attorno a questo rapporto, vivo e mutevole, che è incentrata la mostra collettiva Parole, Parole, Parole visitabile fino al 4 gennaio presso la sede del Museo Pecci di Milano. Raccolti i lavori di una quarantina di artisti italiani e non, a partire dal 1959 a oggi.
Molto stimolante è il confronto che si viene a produrre: ciascun artista ha interpretato le parole secondo la propria sensibilità chiamando così anche lo spettatore a riunificare sotto un unico cappello discipline apparentemente distinte. Si potrebbe iniziare da Agnetti – Il principio è solo un centro spostato verso un centro – esemplare nell’amalgamare densità concettuale e volatile impermanenza per passare al lavoro di Carl Andre – Fuck, (one hundred sonnets) – del 1963, costruito sull’irridente armonia visiva della parola fuck ripetuta senza soluzioni di continuità a formare un quadrato perfettamente geometrico, o all’apodittico Chiari, la cui opera è anche un manifesto, un emblema di quegli anni di piombo (siamo nel 1978): L’Arte sarà di tutti e la parola Arte non sarà di nessuno. Quale simbolo migliore della massa come attivo soggetto politico, di un’idea nuova di collettività, di quel clima da guerra fredda in tiepido disgelo?
Accanto a queste presenze storiche, al lapideo e provocatorio Salvo, con il suo Idiota – dove l’artista si oppone alla consueta laudatio commemorativa per ritrovare il gusto di una saporita satira marmorea –, se ne trovano di più contemporanee. Silvia Hell per esempio: originaria di Bolzano, è scultrice dotata di un estremo nitore formale e in questo caso anche filosofico (Tesi antitesi sintesi, 2013) esaltato dall’uso di materiali dall’intrinseca politezza. Da ricordare anche Paolo Canevari: più sensibile alle tematiche politico-sociali, il suo lavoro si presenta come un ossimoro purissimo; la scritta Home sweet home che dà anche il titolo all’opera, dipinta su di un inabitabile bunker abbandonato della costa spagnola, sottolinea una duplice ferocia: quella di un conflitto (seconda guerra mondiale) ancora vivo nella memoria collettiva e quella di una tematica attuale ben più scottante: l’immigrazione.
Non mancano Julian Schnabel con Ri de pomme, di grande impatto visivo, Chiara Dynis con l’elegante Nulla cade nel vuoto, l’ironica intelligenza di Fischli & Weiss con Perché ho sempre ragione?, la crudezza di Shirin Neshat, il ronzio composito de Les Mouches di Christian Tobas e altri ancora. Una sala è inoltre dedicata al fregio musicale e alle partiture di Daniele Lombardi, artista visivo, compositore, pianista, che la sera dell’inaugurazione esibendosi in concerto (Ears wide shut) è riuscito ad immergere il pubblico in un’atmosfera sinestesica.
Un lavoro colpisce per l’immediatezza e la sottile ludicità: è un’opera di Gianni Melotti dal titolo: Un problema di sensibilità (1989 ca.), e non aggiungo altro…
Francesca Coppola
Mostra visitata il 28 novembre 2013
Dal 28 novembre 2013 al 4 gennaio 2014
Parole, parole, parole
Museo Pecci Milano
Ripa di Porta Ticinese 113 – Milano
Orari: da martedì a sabato dalle ore 15 alle ore 19
Info: 0574 – 531828 – www.centropecci.it