“Stile? Non dite stile, dite espressione, arte dell’espressione”. Queste parole, tratte da un gruppo di appunti autografi scritti da D’Annunzio ritraggono efficacemente la poetica e l’ideologia della vita e dell’arte del poeta.
Lo scrittore sottolinea “l’arte dell’espressione” quasi a farne un paradigma della forma della bellezza e della continua traduzione, ed estrinsecazione, del pensiero in un bell’atto, in un oggetto lussuoso, in un’immagine statuaria; e questo vale non soltanto nella produzione artistica. In questo senso, infatti, sono da intendere le imprese goliardico-guerresche del Vate e le sue frequenti uscite pubbliche e politiche: imprese dove l’azione si estetizza nell’immagine, dove il gesto diventa comunicazione. D’Annunzio non a caso intreccia stretti rapporti con il giovane linguaggio della pubblicità. Sono suoi alcuni marchi commerciali, come per esempio il nome “La Rinascente” per i grandi magazzini.
Colpiscono inoltre la ricerca della varietà e il gusto per l’enumerazione, che riflettono il tentativo di comprendere l’universo di oggetti, animali, persone, di descriverlo e di possederne la bellezza. Un insieme eclettico e ampio ordinato sotto il segno dell’espressione da percorrere dietro l’indicazione che D’Annunzio stesso ci lascia negli appunti sparsi, nelle sottolineature, nei segnalibri.
La mostra è articolata in cinque sezioni: “D’Annunzio e il made in Italy”, “D’Annunzio e la fotografia”, “il poeta pubblicitario”, “Da seduttore a femminista”, e infine “La sublime nudità dello schermo cinematografico”. L’invito è ad apprezzare il legame stretto tra gesto, parola, immagine, e a guardare all’oggi, tempo postmoderno, e ai complessi rapporti tra arte, storia, mercato e società, con gli occhi bambini del primo Novecento.
Le ceramiche raffinatissime, spesso progettate da lui stesso, tra smalti e laccature sembrano anticipare alcune tendenze attuali, soprattutto nella curiosità per l’esotico e per le “cineserie”, nel tracciato delle forme che sarà il segno caratterizzante del design italiano.
La fotografia testimonia quella che oggi chiameremmo un’abile operazione di “self marketing”, nel continuo ricercare la posa giusta da tramandare ai contemporanei e ai posteri.
L’amore per la parola, quasi nell’intento di rinominare il mondo, diventa anche un utile istinto pubblicitario nella primordiale società dei consumi in cui D’Annunzio viveva.
La sua passione per i motori ci mostra l’uomo, in tutto novecentesco, proiettato verso il veloce mutamento degli orizzonti e del rapporto tra tempo e spazio cui la modernità portava, e d’altro canto l’attrazione forsennata per le donne rivela in lui un atteggiamento ancora classicheggiante nel considerare le sue amate alla mera stregua di muse ispiratrici, relegandole – forse con la sola eccezione della Duse – in un ruolo passivo e subordinato nell’attività artistica.
Si parla di dannunzianesimo in questa mostra per definire un insieme di valori e di modelli estetici, oltre che di gusto e di costume, propri dell’inizio del secolo ventesimo; si cerca di instaurare un dialogo tra i simboli della modernità, la tecnologia la velocità e la perdita dell’orizzonte sociale e conoscitivo tradizionale, e l’attuale epoca postmoderna; gli oggetti del poeta, status symbol lussuosi e dorati , preludio ai consumi di massa, raccontano con la loro polvere e scintillio, con il loro tono serio e modernista, le origini della nostra epoca.
Noemi Satta
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