Una tanica di kerosene s’improvvisa vaso. Ne sgorgano resti di plastica combusta, petrolio accartocciato in forma di rose o garofani, i petali accesi da una proiezione di luci caleidoscopiche: le immagini dei pozzi dati alle fiamme durante la guerra in Iraq. È sufficiente un’occhiata a
Fleurs de kérosène per entrare nella dimensione linguistica di
Samuel Rousseau (Marsiglia, 1971; vive a Grenoble) che, nei locali della galleria 1000eventi di Milano, inaugura la sua prima personale italiana.
Fotografie e installazioni sorprendono per la capacità di calarsi con leggerezza nei meandri fecondi della contemporaneità, nella disperata (forse disperante) necessità di testimoniare il presente, di comunicare con stupore quasi infantile la deriva etica ed estetica a cui assistiamo continuamente. La tattica dell’ironia funziona, senza strappi, nel passaggio dalle tematiche più manifestamente politiche (vedi, oltre i
Fleurs, gli schermi sferici soffocati di brulicante traffico urbano delle
Sphére geopoetiques) all’ambito della più limpida e intima speculazione filosofica. Su tutto, la candela spenta di
Un peu d’éternité, che si specchia invece accesa nella propria proiezione digitale. Un uso satirico della cera come non si vedeva dalla cover scelta dai
Sonic Youth per la copertina di
Daydream Nation nel 1988.
Rousseau offre con le sue opere il gusto sublime del gioco, inteso nella sua forma più ricca e profonda. Resta da capire se l’intenzione sia maturata dal raggiungimento di una condizione dello spirito altra – più alta rispetto all’accorato piagnisteo diffuso da una crisi che aleggia impalpabile come i nemici del Giovanni Drogo di Buzzati – o non sia piuttosto una
exit strategy dettata dalla presunta difficoltà di relazionarsi criticamente con il corso degli eventi.
In galleria si affronta con enfasi il filone di opere che Rousseau ha dedicato alla Terra, habitat viziato e ferito di un’umanità regredita all’infanzia, al pari dei bambini apparentemente lontana da tutto, capace di esprimere sia la poesia più toccante che la meschinità più brutale. Si è già fatto cenno alle
Sphére, dagli echi vagamente situazionisti, ma ancor più allegramente inquietante è
Maternaprima, globo terrestre che, in video, si gonfia di bubboni come agitato al suo interno da una forza sconosciuta, pronta a dirompere chissà se con effetti salvifici o distruttivi. È la maturazione di un percorso iniziato nel 2003 con la presentazione del
Géant retroproiettato sulle finestre della Gaité Lirique di Parigi, con il mostro che guarda verso la strada e preme sui vetri per uscire.
Ecco: è forse la dinamica circense quella più prossima alla visionaria creatività di Rousseau. Un ambiente reale eppure distorto, ironico ma viziato da umorismo agrodolce, anche nei suoi accenti più intensamente leggeri.