L’inaugurazione della galleria Cardi Black Box è stata a Milano l’evento mondano di febbraio. Tam-tam su giornali e riviste ne hanno annunciato l’apertura fino al giorno della vernice, movimentato da scambio d’inviti e biglietti, da rigida selezione all’ingresso e coktail alla vodka. E forse proprio in questa chiave glamour occorre leggere la prima mostra della galleria.
La scelta di fregiarsi di un curatore, proveniente da un’istituzione come Villa Manin, Sarah Cosulich Canarutto, pone in qualche modo l’accento sull’innovazione che la galleria porta nel sistema dell’arte milanese, che sebbene possa non piacere, inaugura una rigida e profonda distinzione tra il dealer e l’esperto d’arte, allontanando in qualche modo il gallerista dal ruolo di factotum selezionatore, promoter ed esperto.
Ciò non significa che il gallerista non possiede più queste caratteristiche. Tuttavia, queste non vengono presentate come il principale motore di vendita. Se è vero che non sorprende il fatto che una mostra in galleria venga curata, è anche vero che, nel caso specifico, a questa scelta è stato dato un peso preponderante, come se divenisse necessario prendere le distanze dall’opera, sottolineando il bisogno di trovare nell’arte un bene accessorio.
Il significato che un tale evento ha assunto nel sistema dell’arte milanese non va però misurato in termini di ricaduta culturale, quanto in smaliziato confronto di vendita e promozione. E, paradossalmente, in questo contesto il lavoro del dealer risulta di gran lunga più interessante di quello del curatore.
Tuttavia, in questo panorama non si può tralasciare il ruolo giocato dalla scelta dell’artista. In galleria è presentata l’iraniana
Shirana Shahbazi (Teheran, 1974; vive a Zurigo), ma evidentemente la scelta poteva ricadere su qualsiasi altro artista, purché nell’ordine possedesse le seguenti caratteristiche: assenza di messaggio politico, portabilità del formato, chiarezza del soggetto, giusta dose d’internazionalità.
In realtà, il lavoro di Shirana Shahbazi – tutt’altro che di bassa qualità -, pur nel suo ripercorrere il tema barocco del
memento mori, non lascia spazio alla narrazione e i suoi lavori sono visioni compatte e sintetiche. L’artista decontestualizza in maniera decisa le immagini, inserendole su sfondi lucidi e colorati che, in maniera accattivante, escludono ogni simbolismo. Sono ora farfalle, ora fiori, ora conchiglie che galleggiano su una patina liscia, come su una copertina. Nature morte talmente lucide da perdere ogni retorica. Sarà il gioco del tempo a dare un’epoca allo sfondo patinato, a rendere il riflesso del passato sulla tecnica, oggi così contemporanea.
L’arte si fa oggetto, per superare in qualche modo la crisi. Regalando i sensuali luccichii della moda.