“
Nelle molteplici trasparenze della luce”,
scriveva
nel 1907 il poeta Innokenty Annensky, “
Negli impasti aggiuntivi delle
sue visioni / Noi viviamo il regno delle cose del mondo / E la triade infinita
che ne divide lo spazio / Lì noi spargiamo i confini di questa vita / Moltiplicandone
le forme attraverso colori e fiabe / Che nascondono talmente quel che abbiamo
davanti agli occhi / Da far sì che nessuno riesca a ricreare nulla del genere /
Questa forza è la nostra stella-guida / Che ha i nostri stessi dei e le nostre
leggi di natura / E che, prima di queste, porta con sé la nostra pallida e
lontana luce / Quell’arte che sminuisce tutti i grandi ruoli / Noi infatti non
possiamo non ridurre il nostro regno in schiavitĂą / Forse per questo a noi
spetta amare tanto le sue trasparenze e la loro luce”.
Questi versi sono una dichiarazione di poetica raccolta a
posteriori, a
lla fine di una vita che ha permesso allo scrittore russo di poter
voltare gli occhi indietro ed evocare con certezza l’esistenza di un proprio simile.
Di quel qualcuno che – mentre mostra – nasconde, perché trasforma e quindi
consuma quel che c’è.
Tomas Rajlich (Jankov,
1940; vive a L’Aja, Praga e Parigi) è un pittore che sembra esser destinato a
queste parole e a discenderne il loro interregno.
Nel 1969 Rajlich decide di lasciare il suo paese d’origine,
a causa dall’occupazione sovietica, e di stabilirsi in Olanda. Come pittore è
rappresentato da Art & Project di Amsterdam e da Yvon Lambert di Parigi. Ma
il suo percorso viene accolto tardi, accettando inviti a mostre quali
Elementaire
Vormen (1975),
Fracture du
Monochrome aujourd’hui en Europe (1978),
Bilder
ohne Bilder (1978) e all’importante
Fundamental
Painting (1975), allestita allo Stedelijk
di Amsterdam.
Nel 2010, come suggerisce
Toccare la luce con gli occhi
e con la mente, ultima personale
dell’artista, prima che lo sguardo arrivi a Rajlich
bisogna lasciare nuovamente
il “
regno del mondo delle cose” e
seguirne il loro dominio pittorico, ridotto in schiavitù dall’astrazione. Il
pittore, ripercorrendo linee materiche, amalgama superficiali, fibre verticali
e iridescenze acriliche, agisce sul soggetto-luce senza seguire né dei né leggi
di natura, dipingendo solo materia, tra fiabe e colori.
Le sue prime tele sono riconoscibili per la facilitĂ con
la quale i colori sottostanno imbrigliati da reti ricorsive – se non proprio
geometriche-, sezioni di carattere industriale e modulare. Molto piĂą libere,
invece, veri diagrammi espressivi risultano essere gli ultimi dipinti,
combinazioni cangianti che attraggono la luce, riflettendola come un effetto di
lontananza. Vibrazioni verdi, viola, gialle o blu, abbandonate dalla loro
cornice.
Le tele esposte superano l’allestimento ragionato di una
ventina di lavori, sebbene di differenti formati e appartenenti a diversi
periodi della sua vita. Il processo compositivo e formale di Rajlich, infatti,
è intuizione radicale, già solo deducibile dall’accostamento delle opere al piano
terra. Lavori che da soli basterebbero a strutturare un fondamento formale
delle sue visioni.