L’impatto della modernità tecnologica su culture arcaiche e contadine è il tema su cui si concentra
Said Atabekov (Bes Terek, 1965; vive a Shymkent).
A un primo sguardo, non si tratta certo di un argomento nuovo: le lucciole pasoliniane scomparivano negli anni ‘60 del secolo scorso, nel frattempo Jean-François Lyotard diffondeva il concetto di
postmoderno, che a sua volta veniva superato o integrato nell’ambito dell’affermazione di una modernità matura. Tuttavia, la tematica conserva in questo caso una sua genuinità e attualità, poiché i territori considerati, quelli dell’Asia centrale, affrontano solo ora questi mutamenti.
La strada per Roma è un ciclo di fotografie che s’ispira al viaggio di Marco Polo in Cina e al suo ritorno nella Capitale, come simbolico incontro fra Oriente e Occidente. Non si tratta solamente dell’incontro tra due mondi diversi, ma fra tradizione arcaica e modernità. L’obiettivo di Atabekov allinea simboli religiosi occidentali e orientali, jeans che fanno capolino sotto costumi tradizionali, automobili, gente a cavallo, bandiere Usa stese ad asciugare, statue arcaiche che indossano zaini e copricapi militari.
Il ricorso all’ironia come strategia di difesa e sopravvivenza di fronte alla transizione da una civiltà contadina a una società moderna e vicina alla cultura occidentale è centrale nei due video
Neon Paradise e
Walkman. Nel primo, un uomo in costumi tradizionali è inginocchiato di fronte a una porta automatica, che sembra essere quella di un grande magazzino, e si genuflette al suo aprirsi, mentre altre persone passano indifferenti. Il confronto fra archetipi e tecnologia si risolve qui in un’ironia forse un po’ troppo semplicistica.
Nel secondo video, un uomo avanza faticosamente nella steppa, portando un contrabbasso sulla schiena. Il paesaggio è costellato da tralicci elettrici, quasi come si trattasse d’una foresta di totem. La tensione epica e drammatica rinvia alla cinematografia sovietica degli anni ‘20, mentre l’enfasi sulla selva di tralicci appare come un riferimento al Costruttivismo. L’uomo rappresenterebbe una “
metafora dell’artista stesso” che, “
con passi lenti e talvolta incerti, si muove verso il progresso e la civiltà occidentale”.
Si sconfina nell’esercizio di stile e il video perde in forza ed efficacia; la metafora risulta qui stridente: è difficile pensare che chi possiede una tale padronanza delle tecniche audiovisive, da utilizzarle in maniera quasi citazionista, possa procedere lentamente verso la modernità. La credibilità del tema è insomma minata dalle tecniche adottate per rappresentarlo.
United States Marines in Central Asia è una serie di tre abiti con motivi tradizionali e militari. Qui l’ironia si fa meno frettolosa, più sottile e meditata: il trauma dell’incontro con l’Occidente e la modernità è stata rielaborato, ma il suo superamento rimane sospeso sulle soglie dell’ambiguità.