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25
giugno 2010
fino al 4.VII.2010 Stanley Kubrick Milano, Palazzo della Ragione
milano
Riemergono da un abisso di polvere. In prima mondiale a Milano, presentati gli scatti che segnarono l’esordio fotografico di un genio. Che a soli 17 anni aveva già ben chiaro come giocare con l’ambiguità del reale...
di Stefano Riba
Le quasi 300 immagini
esposte in prima mondiale al Palazzo della Ragione di Milano sono letteralmente
emerse da una nube di polvere, simile a quella partorita dal vulcano islandese
dal nome impronunciabile che negli scorsi giorni ha coperto i cieli di mezza
Europa. “Quando ho rintracciato i negativi negli archivi del Museum of the
City of New York”,
dice il curatore della mostra, Rainer Crone, “i faldoni in cui venivano
conservati erano letteralmente sommersi di polvere”.
Proprio a Crone
spetta il merito di aver strappato all’oblio le decine di migliaia di
fotografie che documentano l’esordio di Stanley Kubrick (New York, 1928 – Harpenden,
1999) dietro l’obiettivo. Che non è quello della macchina da presa, con cui nel
1951 girò Day of the Fight, ma quello della Kodak Monitor 6-20 o della Rollei con
cui, dal 1945 al 1950, scattò le immagini per la rivista Look.
Una passione,
quella per la fotografia, ereditata dal padre ed esercitata con genialità fin
dall’adolescenza, quando a soli 17 anni decise di arrotondare i ricavi provenienti
dai tornei di scacchi che vinceva (era un genio anche in questo) con gli scatti
che vendeva al magazine newyorchese.
Un’attività che
durò solo un lustro. Giusto il tempo di diventare maggiorenne e “farsi le ossa”
lavorando per una rivista caratterizzata da una narrazione a episodi (in mostra
troviamo sequenze sulla vita di un lustrascarpe bambino, sui retroscena del
mondo del circo, su un viaggio in Portogallo e via dicendo) che visivamente era
molto simile a una serie di still cinematografici.
La fotografia è
stata, quindi, solo un breve tratto nel percorso che, nel 1951, portò Kubrick a
licenziarsi da Look per passare dietro la macchina da presa a dirigere, dopo essersi fatto
prestare i soldi da qualche amico, Day of the Fight. Un documentario su Walter Cartier,
il pugile che già nel 1949 aveva ritratto in un servizio fotografico assieme a
altro campione di boxe, quel Rocky Marciano di cui sono in mostra una serie di
ritratti.
Insomma, il
passaggio da un mezzo all’altro non fu solo una questione tecnica, ma anche
tematica. Tanto le immagini che scattava con la macchina fotografica nascosta
in un sacchetto della spesa o da sotto il banco di scuola, quanto ciascun frame
dei suoi film sono permeate di quella ambiguità su cui Kubrick, in una delle sue
rare interviste, dice: “Credo che un’asserzione chiara, letterale,
‘oggettiva’, sia di per sé falsa e non avrà mai il potere che può assumere una
perfetta ambiguità, cioè qualcosa che può assumere diversi significati, ognuno
dei quali ha qualche aspetto di realtà”.
Chiudiamo con un
aneddoto che la dice lunga sul personaggio. Crone rivela che, quando contattò
il regista per chiedergli delle foto di Look, lui rispose che non sapeva nemmeno
dove fossero finiti i negativi. Questa però non è la risposta sgarbata di una
persona spesso descritta come paranoica e scortese. È probabile che nella testa
di Kubrick i film e le fotografie fossero ciò che vedeva e di cui bastava la
memoria per tenerne traccia. Per questo non si curava di dove gli originali
delle sue fotografie fossero conservati.
In definitiva,
fotografia o cinema fa poca differenza. Il vero obiettivo di Kubrick erano i
suoi occhi.
esposte in prima mondiale al Palazzo della Ragione di Milano sono letteralmente
emerse da una nube di polvere, simile a quella partorita dal vulcano islandese
dal nome impronunciabile che negli scorsi giorni ha coperto i cieli di mezza
Europa. “Quando ho rintracciato i negativi negli archivi del Museum of the
City of New York”,
dice il curatore della mostra, Rainer Crone, “i faldoni in cui venivano
conservati erano letteralmente sommersi di polvere”.
Proprio a Crone
spetta il merito di aver strappato all’oblio le decine di migliaia di
fotografie che documentano l’esordio di Stanley Kubrick (New York, 1928 – Harpenden,
1999) dietro l’obiettivo. Che non è quello della macchina da presa, con cui nel
1951 girò Day of the Fight, ma quello della Kodak Monitor 6-20 o della Rollei con
cui, dal 1945 al 1950, scattò le immagini per la rivista Look.
Una passione,
quella per la fotografia, ereditata dal padre ed esercitata con genialità fin
dall’adolescenza, quando a soli 17 anni decise di arrotondare i ricavi provenienti
dai tornei di scacchi che vinceva (era un genio anche in questo) con gli scatti
che vendeva al magazine newyorchese.
Un’attività che
durò solo un lustro. Giusto il tempo di diventare maggiorenne e “farsi le ossa”
lavorando per una rivista caratterizzata da una narrazione a episodi (in mostra
troviamo sequenze sulla vita di un lustrascarpe bambino, sui retroscena del
mondo del circo, su un viaggio in Portogallo e via dicendo) che visivamente era
molto simile a una serie di still cinematografici.
La fotografia è
stata, quindi, solo un breve tratto nel percorso che, nel 1951, portò Kubrick a
licenziarsi da Look per passare dietro la macchina da presa a dirigere, dopo essersi fatto
prestare i soldi da qualche amico, Day of the Fight. Un documentario su Walter Cartier,
il pugile che già nel 1949 aveva ritratto in un servizio fotografico assieme a
altro campione di boxe, quel Rocky Marciano di cui sono in mostra una serie di
ritratti.
Insomma, il
passaggio da un mezzo all’altro non fu solo una questione tecnica, ma anche
tematica. Tanto le immagini che scattava con la macchina fotografica nascosta
in un sacchetto della spesa o da sotto il banco di scuola, quanto ciascun frame
dei suoi film sono permeate di quella ambiguità su cui Kubrick, in una delle sue
rare interviste, dice: “Credo che un’asserzione chiara, letterale,
‘oggettiva’, sia di per sé falsa e non avrà mai il potere che può assumere una
perfetta ambiguità, cioè qualcosa che può assumere diversi significati, ognuno
dei quali ha qualche aspetto di realtà”.
Chiudiamo con un
aneddoto che la dice lunga sul personaggio. Crone rivela che, quando contattò
il regista per chiedergli delle foto di Look, lui rispose che non sapeva nemmeno
dove fossero finiti i negativi. Questa però non è la risposta sgarbata di una
persona spesso descritta come paranoica e scortese. È probabile che nella testa
di Kubrick i film e le fotografie fossero ciò che vedeva e di cui bastava la
memoria per tenerne traccia. Per questo non si curava di dove gli originali
delle sue fotografie fossero conservati.
In definitiva,
fotografia o cinema fa poca differenza. Il vero obiettivo di Kubrick erano i
suoi occhi.
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luglio 2010
Stanley
Kubrick – Fotografo. Gli anni di Look (1945-1950)
a cura di Rainer
Crone
Palazzo della
Ragione
Piazza dei Mercanti (zona Duomo) – 20123 Milano
Orario: lunedì ore 14.30–19.30; da martedì a domenica ore 9.30–19.30; giovedì
ore 9.30–22.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Ingresso: intero € 8,50; ridotto € 3
Catalogo Giunti
Info: tel. +39 0243353522; servizi@civita.it; www.mostrakubrick.it
[exibart]