Nella doppia sede della galleria di Raffaella Cortese, le artiste donne sono di casa. In via Stradella 1, si presenta Cuba , January 1981, di Martha Rosler ( Brooklyn, New York, 1943) una serie di fotografie inedite, per lo più in bianco e nero, che documentano un viaggio nell’isola organizzato da Lucy Lippard e Ana Mendieta (1948, L’Havana – 1985, New York). Nell’anno dell’elezione di Reagan, all’insegna del neoliberalismo e di radicali cambiamenti politici e sociali in America, il suo diario fotografico racconta una Cuba in bilico tra comunismo e capitalismo, ancora ibernata nel passato, seppure aperta al consumismo. Lo dimostrano le sue foto-testo “street life” di spazi pubblici, scuole, caffè, saloni di bellezza, negozi, teatri, chiese e gente comune, scene di vita quotidiana, non retoriche, reportage di un’esperienza visiva vissuta in diretta, mirando al cuore di una società contraddittoria.
Nella seconda sede della galleria milanese, al numero 7, Ana Mendieta, artista esule cubana, sbarcata a soli 12 anni negli Usa dove muore in circostanze ancora poco chiare a soli 37 anni, coraggiosa e irruente, nota per le sue azioni provocatorie a favore degli ideali del movimento femminista negli anni ‘70, in un mondo ancora maschilista dove non c’era spazio per le artiste. Si distingue per aver coniugato la Body art con la Land art, andando contro il monumentalismo di colleghi uomini, partendo da se stessa. Sono poetiche le immagini del suo corpo inserito nel paesaggio, sculture di terra che rappresentano l’organo sessuale femminile, performance rituali, fotografie di “art in nature”, che svelano un misterioso e ancestrale legame spirituale e fisico tra la donna e la Terra. Questo e altri lavori in mostra sono un inno alla donna –dea della fertilità, come la serie di fotografie che la ritraggono mentre mimetizza il suo corpo con la natura, lo immerge nella polvere da sparo, quando disegna la sua silhouette nella terra, oppure quando nel video diventa un tutt’uno con l’acqua.
Mendieta non si arrende, reagisce, usa l’arte per urlare vendetta ed è crudele, arrabbiata con il mondo maschile, quando denuncia i soprusi, le discriminazioni, la violenza carnale sulle donne e la morte, come documentano i primi lavori degli anni ’70. Sono strazianti le algide rarefatte immagini che inscenano lo stupro e l’assassinio di una studentessa avvenuto nel suo stesso campus universitario. Questo lavoro denuncia con freddezza un brutale episodio, anche se il corpo nudo insanguinato visto di spalle trasuda di erotismo, è un immagine forte, di un’attualità sconcertante, che potrebbe essere il manifesto contro il femminicidio contemporaneo, per smascherare la brutalità ingiustificabile di un uomo fragile, malato, che scambia per amore, il possesso di una donna. In questi anni l’artista-sciamano, utilizza il suo corpo, lavora con il sangue e nasce la famosa serie di Untitled (Rape Perfomance) e Sweating Blood, del 1973. Mendieta agisce sui sensi e l’immaginario, esegue perfomance ispirandosi ad antiche pratiche rituali di culture indigene americane dell’America, Africa ed Europa, incorporando nella sua ricerca elementi sacrificali “primitivi” associati alla “santeria cubana”. Nella serie di opere Siluetas, che evocano le forme del suo copro, usa sangue, acqua, terra e fuoco, elementi naturali che rappresentano la caducità della vita e l’eternità della natura.
Jacqueline Ceresoli
Mostra visitata il 23 maggio
Dal 22 maggio al 4 agosto 2013
Ana Mendieta e Martha Rosler
Via Stradella 1 e 7, Milano
Orari: martedì-venerdì 10-13; 15-19-30; sabato 15-19-30