Assoluta coerenza estetica, a teatro come nella produzione figurativa. Una cura minuziosa e totalizzante per colori, luci e musiche. Fagocitando citazioni d’ogni sorta, senza timore. A tratti quasi ingenuo, “facile” nei contenuti, sin irritante nella spudoratezza dell’eterno presente. Così davvero “americano” in questo, con Brad Pitt che, sotto la pioggia, spara con una pistola ad acqua, o Carolina di Monaco che mostra la fede, di spalle, come la madre, Grace Kelly, in
La finestra sul cortile o, ancora, Mikhail Baryshnikov immobilizzato a una colonna, le frecce intorno, come San Sebastiano.
Pure sempre magnifico
Robert Wilson (Waco, 1941) nell’uso di chiaroscuri e colori, nei ritmi espressivi, qui, con questi ritratti fermi e mobili a un tempo, creando una nuova dimensione del tempo, diversa durata del loop, a volte neppure individuabile: una circolarità senza inizio e senza fine.
Sono venticinque videoritratti. Tra questi, un cane con parrucca alla
Andy Warhol e un porcospino con sfondo di notte stellata.
Ma quest’aspetto di gioco svanisce nell’incanto commosso di fronte a Robin Wright Penn, che pare sospesa nel vuoto, un trampolino nel buio, preziosa, indimenticabile visione onirica; o per Salma Hayek moltiplicata, in bianco e nero, evocando il cinema muto; o, ancora, per Suzushi Hanayagi, parti del corpo separate, mani e volto, fitte rughe della pelle e tessuto.
A volte si perde la persona nel ruolo, il personaggio dominante: comunque denso di fascino il dialogo interno tra creatura vivente (ma in più sale ci si deve soffermare a scoprire il respiro nell’immobilità fotografica e cercare di capire se stia per accadere qualcosa, un gesto, un atto) e figura rappresentata: Jeanne Moreau nel costume di Maria Stuarda, in piedi, solo sogno il suo regno; Isabelle Huppert come Greta Garbo, immensi occhi immersi in propri pensieri, il mondo distante. E per ogni ritratto video, musiche di autori differenti, perfette, ironiche o d’atmosfera, a tratti versi e parole.
Quasi rumore di ghiaccio per il bianco telo mosso di sfondo a Lucinda Childs. Carne viva esposta su un tavolo per Steve Buscemi, in completo bianco, appena macchiato di sangue; operato il braccio di Robert Downey, riferimento a
Rembrandt, una lezione d’anatomia. E scorre sul volto di Gao Xingjian la scritta “
la solitudine è condizione necessaria alla libertà”, gli occhi che si chiudono ogni volta.
E pare sempre seguirti con lo sguardo il meccanico Norman Paul Fleming, le mani appoggiate sul tavolo, evocando i severi ritratti di
Grant Wood. Ed è avvolta nella sua montagnola nera, vasto mantello, così prigioniera, libero ormai solo il volto, Winnie di
Giorni felici, Winona Ryder: la sua borsa, lo spazzolino da denti, la pistola, gli oggetti che le facevano compagnia ormai irraggiungibili.
Esercizi di stile? A volte sembra. Ma certo sempre opere stupefacenti di luce e composizione, sfumature e volumi.