È di certo una sorpresa quella che attende i visitatori della galleria Pack, abituati al nitore dei suoi ampi ed ariosi spazi. A quell’entrata, dirimpetto al cortile, rimpiazzata da una porticina sul lato destro dello spazio espositivo. Piccola, e perciò capace di celare, creando una certa suspance, ciò che verrà dopo. Ovvero Wallpaper [il vortice del desiderio e’ privo d’orizzonte](2006), l’opera realizzata da Gianni Colosimo (1953, Torino).
L’orizzonte è effettivamente cancellato dall’azione artistica. Quanto alla brama, non si può fare a meno di provarne entrando nell’installazione dell’artista torinese, compiendo un salto improvviso all’interno di un progetto folle, eppure estremamente razionale. Che trae le sue fondamenta da una tradizione storica illustre. Prendendo l’interesse per l’accumulazione e l’environment dal Dada, passando per un’attenzione alla materia e all’oggetto, detratto dalla realtà, tipica dei Nouveau Realistes, fino ad un’indagine sul simbolo e le sue implicazioni prettamente Pop.
Ma non solo. Non si può liquidare Colosimo con una serie di riferimenti ben dosati ed assortiti. Nella sua opera c’è lo stesso rischio richiesto al giocatore d’azzardo. La stessa lucida pazzia. Tale da spingere un uomo –trascinando il suo gallerista- ad investire una quantità consistente di biglietti da un dollaro per rivestire l’intero spazio (pareti e pavimenti compresi). C’è, inoltre, la sintesi anti-cromatica derivante dalla lezione manzoniana, che, in questo senso, si riveste a nuovo e, sposandosi con la filosofia di Andy Warhol, raggiunge altissimi livelli decorativi nella ripetizione dell’icona di George Washington. Non a caso, quella più amata ed invisa al mondo intero. La panacea di tutti i mali. La fusione oggettiva di significato e significante. In un’opera che allude, ma non dice. Che risulta politica, senza esserlo davvero. Che strizza l’occhio allo spettatore, lo seduce, pur invitandolo a riflettere.
Ma, mentre Warhol i verdoni li firma, rendendoli pezzi unici e ribaltandone l’effettivo valore economico da un dollaro a chissà quanto, Colosimo ne rispetta la serialità e l’anonimato, ne abbatte la funzione, lasciando che il desiderio del riguardante sia l’unico tramite con la vita precedente. Così le mura, rese statiche dal processo modulare di reiterazione, di scomposizione in serie, sono, invece chiamate a vibrare dal pattern verde e nero della banconota e dal suo alto portato di contenuto.
Il senso di smaterializzazione dato dall’annullamento dei vettori che separano le tre dimensioni, proietta i corpi che abitano l’opera in una sensazione di galleggiamento, data dalla costruzione di una macchina compositiva a metà tra sperimentazione e decorazione, tra arredamento moderno e Merzbau. In cui la defezione dell’oggetto/opera dallo spazio espositivo, fino alla sua integrazione totale con la galleria stessa, si regge in equilibrio precario con il desiderio del fruitore, convocato a diventare parte integrante di un percorso claustrofobico quanto il labirinto dello Shining di Stanley Kubrick. Ammaliante eppur soffocante. Tra nausea e struggimento…
santa nastro
mostra visitata il 23 settembre 2006
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e il soffitto, perché no?
ahiahi
la aspetto in galleria, se me le indica, le regalo un lavoro
gentilissimo gallerista,
ma se ho visto con i miei occhi più di una banconota con lo stesso numero di serie..
allora vuol dire che vi hanno dato una sola!
invito liu a controllare uno per uno i numeri di serie, le banconote sono tutte autentiche
"La stessa lucida pazzia. Tale da spingere un uomo –trascinando il suo gallerista- ad investire una quantità consistente di biglietti da un dollaro per rivestire l'intero spazio (pareti e pavimenti compresi)."
Guardate che le banconote sono false.. si può notare che il numero di serie è lo stesso per molti di quei bigliettoni!
Quindi lo zio non ha investito molto!
una proposta devvero interessante.Bravi
ovviamente, Liu non si è fatto vedere