Minisculture, grandi installazioni, arazzi e tappeti d’autore segnano l’esordio comasco della XVII edizione della rassegna internazionale
Miniartextil. Il battesimo prima delle trasferte nazionali e del passaggio parigino.
Canapa, lana, seta cinese, cotone e carta. E poi garze, pietre, filo di rame e foglie. Tra cultura materiale e poetica della materia, le fibre, i nodi e le pieghe tracciano la lunga storia di un prezioso mestiere artigiano. L’
ars tessile, antico ed esperto “saper fare”, incrocia l’asse di scorrimento del contemporaneo, rivelandogli i segreti per dar vita agli oggetti. All’origine, un’immagine mentale: le mani di un maestro d’arte sul telaio. In un silenzio ritmato dall’andirivieni della navetta e dai colpi sordi del pettine.
Una squadra intergenerazionale di artisti, da
Marisa Bronzini al panorama più giovane, riscrive le coordinate della manualità tessile, rubandole materie prime, ispirazioni, tecniche di filatura e d’intreccio. Nuovi usi per vecchie funzioni: le regole dell’artigianato diventano soluzioni linguistiche sperimentali, emerse direttamente dalla tradizione. E l’arte si cala nella sua dimensione più operativa, ridiventa lavoro, incalcolabile esattezza e diligente applicazione.
Nell’ex Chiesa di San Francesco, la riduzione delle dimensioni fa fiorire minuscoli prodigi, 50 delicate sculture 20x20x20, sospese su strutture metalliche nell’abside. Da segnalare i “pensieri spettinati” in carta e nylon, dal vago sapore
fantasy, dell’artista polacca
Malgorzata Buczeck-Sledzinska; la semplicità concettuale di
Time-x di
Barbara Esser e
Wolfgang Horn; il poverismo di
Sparkle di
Alvaro Diego Gomez Campuzano; la fragile eleganza di
Incubation di
Makiko Wakisaka e la minuscola intimità evocata da
The pocket of Memories di
Michiko Sakuma. Introduce allo spazio espositivo il video “misterico” di
Lydia Predominato. Nel linguaggio simbolico della spirale e del labirinto, l’artista italiana ricostruisce un approccio sacrale al manufatto tessile, vissuto come scrittura autobiografica e metafora del compito infinito della conoscenza.
L’enorme
Untitled di
Machiko Agano occupa invece lo spazio aereo: un intervento ambientale realizzato in filo da pesca, filo di ferro e kozo, in tutto simile un bozzolo sventrato e dispiegato nella sua consistenza reticolare. Leggero e quasi trasparente, anch’esso pensato “in piccolo”, nodo dopo nodo. Sempre in una logica installativa,
Tracing time di
Claire Morgan sembra sospendere la mobilità delle cose. In una gabbia di fili di nylon, l’artista congela in un transito semi di tarassaco, foglie e uno scricciolo morto. Come se l’uomo fosse nato proprio per le cose piccole.
Nel chiostrino di Sant’Eufemia, il tessere ritrova invece la sua consistenza temporale: una serie di tappeti, figli dello stratagemma di Penelope, sono la misura dell’attesa. Per annodare lo scorrere del tempo, abitarlo, ingabbiarlo come se fosse spazio. Per materializzarlo.