Sono bianche le pareti della galleria, sembrano pensate ad hoc per la prima personale milanese di Vito Acconci (New York, 1940). Personale in cui le ventuno opere esposte sono unicamente in bianco e nero: le fotografie che ritraggono i momenti salienti delle performance, come Catching piece (1970) e Trademarks (1970); gli schizzi dei progetti, che testimoniano fasi primordiali di lavoro, come Circle (1969) e First sight (1969). La stessa cromia contraddistingue i video trasmessi, le indicazioni, i segni grafici, abbozzati con il gesso su una lavagna, tracce della nascita di alcune opere. I lavori presenti risalgono esclusivamente alla fine degli anni ’60 ed ai primissimi ’70; e testimoniano proprio la fase iniziale dell’attività di Acconci.
Pioniere della performance, del video, dell’installazione e dell’esplorazione dello spazio architettonico, Acconci è andato oltre i confini di un unico genere artistico, muovendosi dall’ambiente della poesia e della scrittura, allo spazio della galleria e del museo; ed ancora oltre, verso gli spazi pubblici e di condivisione.
Dopo gli esordi come poeta, il passaggio all’ambito delle arti visive e delle gallerie segna per lui un momento speciale. Egli stesso, negli anni ’70, ritiene che il luogo ideale per rappresentare le proprie opere siano le pareti bianche di una galleria, dove usare il proprio corpo come immagine, mezzo espressivo e punto di riferimento.
L’interno della Galleria Ierimonti rispecchia fedelmente queste premesse: i lavori di Acconci sono disposti in ordine, semplici, “imprigionati” in cornici nere, lungo i muri bianchi della galleria, dalla forma stretta e pulita. In un assiduo gioco di richiami ed opposizioni: lo spazio reale si rispecchia nelle immagini esposte, i colori dell’ambiente combaciano perfettamente con l’abito della gallerista.
Questa idea di ordine, di una certa forma di rigore, si rivela in essenza l’espressione stessa della contraddizione.
E’ evidente fin dal primo sguardo: non c’è nulla di rigoroso nella ricerca di Vito Acconci; bensì esiste in ogni opera l’idea di sovvertirne l’ordine, e cambiare le regole del gioco.
Egli documenta tutto con appunti, fotografie, video e film in una sistematica ed esauriente esplorazione del corpo come apparato gestuale. Usa la macchina fotografica come un occhio che documenta fisicamente un gesto e si concentra su un’azione.
Ostentare la propria (reale) bruttezza e nudità, in Runoff (1970); oscillare dentro e fuori dal campo della telecamera, in Following piece (1969); ritrarsi scomposto, in Performance situation sending (1969); sdraiato; accovacciato; il tutto all’interno di precisi quadretti bianco e nero, dalle forme regolari e minime.
“Ossessionato dall’essere fedele al suo corpo e al territorio emotivo e umano che esso determina, Acconci usa il mezzo televisivo come complemento al suo io interiore ed esteriore.” scrive Germano Celant in Off-Media (1977) “E’ la sua maschera pubblica ed è attraverso di essa che egli può esprimere e mettere a nudo tutti i suoi segreti, corporali e mentali. Mediante il monitor, lo specchio, le sue esperienze sono vissute come qualcosa di estraneo, che può essere raccontato e mostrato.”
L’intento della mostra è, infine, anche “didattico”, di apertura ad una ricerca che ha generato forme ed idee ancora attuali, e nel contempo contrastanti, diverse, tormentate. Ricerca che accetta l’esistenza delle contraddizioni e ne fa un’arma per creare e vivere.
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La prima mostra personale di Vito Acconci a Milano ebbe luogo nel gennaio 1978 presso la Galleria Salvatore Ala di Via Mameli
Il testo dell'abstract -Vito Acconci, poeta, performer e molto altro, per la prima volta in Italia…- non è mio.
La frase dell'articolo -per la prima personale milanese di Vito Acconci- terminava con -dopo oltre 24 anni di assenza- ed è stata erroneamente tagliata.
Per questo la galleria Ala rivendica giustamente i propri diritti.
Le mie più sentite scuse.