La mostra di Hanne Darboven è quasi un’antologica poiché documenta, attraverso alcune opere particolarmente rappresentative e brani musicali, più di dieci anni di ricerche. E’ una delle poche occasioni per conoscere il suo lavoro in Italia: l’ultima personale risale alla partecipazione alla XL Biennale di Venezia del 1981.
Hanne Darboven è nata a Monaco nel 1941. Dopo gli studi all’Accademia d’Arti Figurative di Amburgo esordisce con disegni su carta millimetrata dove annota appunti e diagrammi grafici. Nel 1966 si trasferisce a New York dove frequenta Sol Lewitt e Carl Andre avvicinandosi al minimalismo e ricevendo consensi di pubblico e critica. Nel 1968 torna in Germania e inizia a dedicarsi alla pratica della scrittura manuale, con la quale descrive e rende evidente la dimensione temporale attraverso numeri ed elencazioni di date. Successivamente introduce nella sua opera anche testi, fotografie e altri materiali.
La ricerca di Hanne Darboven si focalizza sulla visualizzazione del tempo, registrato attraverso combinazioni numeriche e calcoli matematici progressivi che attestano il suo trascorrere in una sorta di catalogazione visiva. Le modalità di concretizzazione temporale elaborate dall’artista sono costruite essenzialmente su operazioni che elaborano le date del calendario: un sistema elementare d’addizione che è alla base di tutte le sue composizioni e costituisce il modulo sul quale s’inseriscono annotazioni successive. Dalla fine degli anni Settanta inizia ad inserire anche immagini e fotografie, citazioni prese da testi letterari o da pubblicazioni scientifiche e giornalistiche che hanno la funzione di contestualizzare l’astrazione temporale all’esperienza concreta: in questo modo le opere acquistano una prospettiva storica e politica, pubblica e privata allo stesso tempo. A partire dagli anni Ottanta l’artista inizia a trasferire le concatenazioni numeriche su spartiti musicali. La musica, altro grande interesse dell’artista, acquista un’importanza crescente: inizia a comporre brani, basati anch’essi su schemi ripetitivi e minimali, che s’inseriscono e integrano la ricerca figurativa.
Il lavoro di Darboven è fondato sull’etica del fare, che sta alla base della sua concezione dell’arte. Concepisce il suo lavoro come un impegno costante, quotidiano e metodologicamente rigoroso: “Io ho la coscienza a posto: ho scritto le mie migliaia di foglietti. Nello spirito di questa responsabilità – lavoro, coscienza, adempimento del dovere – non ho lavorato meno di colui che ha costruito una strada”.
Rossella Moratto
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bello l'articolo, argomento molto interessante,
ci vado ciao