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21
novembre 2007
fino al 5.I.2008 Alejandro Quincoces Milano, Studio Forni
milano
La Grande Mela, colta nel suo silenzioso movimento, si dipinge di grigi chimerici. Memorie labili s’intravedono dove la città finisce. Dilatando i suoi confini tra i veli del crepuscolo...
Pennellate grumose materializzano l’anima di New York: non più solo gli scorci di Manhattan a cui Alejandro Quincoces (Bilbao, 1951) ci ha abituato, ma anche una serie di paesaggi, dove rivive la zona portuale della città, si alternano in un nuovo racconto metropolitano, in cui l’uomo è il grande assente. Su di lui, infatti, l’artista ha imposto l’idea romantica della natura di William Turner e Caspar David Friedrich, applicandola però agli elementi del paesaggio urbano che emergono dalla nebbia e dal buio attraverso una tagliente modulazione della luce.
Quincoces è tornato a New York, ha scattato nuove fotografie e le ha re-interpretate, riportandole su tavole intrise di forte gestualità materica. La preparazione dei fondi a base di colle e vernici, a cui sono sovrapposti colori a olio, grafite o ancora vernici, permette all’artista di liberare le immagini finali dall’oggettività fotografica originaria, riconducendo i lavori a una meditata introspezione psicologica. Come nei foto-dipinti di Gerhard Richter, il paesaggio urbano si dissolve in una dimensione irreale dove domina il monocromatismo dei colori che, variando secondo differenti tonalità di grigio, è rischiarato dalla luce che mantiene l’equilibrio fra le varie stratificazioni. Gli scorci, che vengono ripresi a volo di uccello o dal basso ricordando le vedute di Berenice Abbott, mettono a fuoco una città che appare irreale “sotto la nebbia bruna di un meriggio invernale”.
Quello che si presenta allo spettatore è un luogo trasfigurato e malinconico, attraversato da corsi d’acqua che trasudano olio e catrame e da infinite linee d’asfalto che confondono e annullano le identità della città, spersonalizzandola e trasformandola in un riflesso della realtà globale e omologata. Quella di Quincoces è una sinfonia di edifici, angoli di strade, ponti, tunnel, magazzini industriali e strade sopraelevate, dipinta con colori che richiamano i rumori metallici e meccanici della vita metropolitana. Rumori che, a causa dell’assenza dell’individuo, vengono velati da un silenzio che sospende nel tempo il paesaggio. La città, tuttavia, è resa in modo tale che il suo incessante movimento possa comunque esser percepito: non potrebbe essere altrimenti per una città frenetica come New York.
I lavori di Quincoces, tra i migliori esempi di una certa tradizione pittorica basca che negli ultimi vent’anni ha sviluppato una figurazione realista caratterizzata da paesaggi urbani e da supporti stratificati, giocano così sulla tensione tra l’astrazione e la pittura oggettiva e referenziale. Tutti gli elementi sono portati sul limite di un orizzonte indefinibile, oltre il quale lo spettatore intravede il mondo personale dell’artista, mentre i pensieri filano “nel registrare il rapporto che il pittore ha stabilito con la realtà urbana”.
Quincoces è tornato a New York, ha scattato nuove fotografie e le ha re-interpretate, riportandole su tavole intrise di forte gestualità materica. La preparazione dei fondi a base di colle e vernici, a cui sono sovrapposti colori a olio, grafite o ancora vernici, permette all’artista di liberare le immagini finali dall’oggettività fotografica originaria, riconducendo i lavori a una meditata introspezione psicologica. Come nei foto-dipinti di Gerhard Richter, il paesaggio urbano si dissolve in una dimensione irreale dove domina il monocromatismo dei colori che, variando secondo differenti tonalità di grigio, è rischiarato dalla luce che mantiene l’equilibrio fra le varie stratificazioni. Gli scorci, che vengono ripresi a volo di uccello o dal basso ricordando le vedute di Berenice Abbott, mettono a fuoco una città che appare irreale “sotto la nebbia bruna di un meriggio invernale”.
Quello che si presenta allo spettatore è un luogo trasfigurato e malinconico, attraversato da corsi d’acqua che trasudano olio e catrame e da infinite linee d’asfalto che confondono e annullano le identità della città, spersonalizzandola e trasformandola in un riflesso della realtà globale e omologata. Quella di Quincoces è una sinfonia di edifici, angoli di strade, ponti, tunnel, magazzini industriali e strade sopraelevate, dipinta con colori che richiamano i rumori metallici e meccanici della vita metropolitana. Rumori che, a causa dell’assenza dell’individuo, vengono velati da un silenzio che sospende nel tempo il paesaggio. La città, tuttavia, è resa in modo tale che il suo incessante movimento possa comunque esser percepito: non potrebbe essere altrimenti per una città frenetica come New York.
I lavori di Quincoces, tra i migliori esempi di una certa tradizione pittorica basca che negli ultimi vent’anni ha sviluppato una figurazione realista caratterizzata da paesaggi urbani e da supporti stratificati, giocano così sulla tensione tra l’astrazione e la pittura oggettiva e referenziale. Tutti gli elementi sono portati sul limite di un orizzonte indefinibile, oltre il quale lo spettatore intravede il mondo personale dell’artista, mentre i pensieri filano “nel registrare il rapporto che il pittore ha stabilito con la realtà urbana”.
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Studio Forni
Via Fatebenefratelli, 13 (zona Palestro) – 20121 Milano
Orari: da martedì a sabato ore 10-13 e 16-19.30
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel. +39 0229060126; fax +39 0263610498; forni.mi@iol.it; www.galleriaforni.it
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