Dalle pareti della galleria sale uno strano silenzio, quasi sinistro. La prima stanza è piuttosto vuota, lo spazio sembra spoglio. La seconda è piena di opere-oggetto, ma l’allestimento segue una geometria rigida e definita. Proprio tale silenzio è il preludio migliore per potenziare la sorpresa data da scenari inusitati, quali quelli che popolano le opere di
Gabriele Memola (Milano, 1971) e
Umberto Chiodi (Bentivoglio, Bologna, 1981; vive a Milano).
Memola disegna esclusivamente con la biro, infittendo e allargando la trama con la precisione di un metronomo. Il soggetto delle sue tavole è la forma assoluta. Non in senso meta-artistico come nelle opere moderniste, ma nel senso di forme-soggetti che sono sì concrete e
declinate, ma non svelano l’origine né il loro destino. Forme organiche, sorta di amebe già “troppo umane” che sono destinate sicuramente a metamorfizzarsi ulteriormente e a crescere, invadendo gli spazi al di là della cornice. Al primo sguardo, la poetica di Memola sembra autoconfinarsi nel campo dell’illustrazione, con un’estetica in qualche modo fantasy. Con un’analisi più approfondita ci si accorge invece che il respiro delle sue opere è più largo, e contempla le logiche proprie della
Fine art, includendo anche alcune suggestioni surrealiste rivisitate con un buon grado di autonomia.
La seconda stanza è occupata militarmente dall’immaginario ipertrofico di Chiodi. Eppure lo spazio così come lo sguardo dello spettatore in qualche modo gli resistono, dando alle opere concretezza e facendole oscillare tra temporalità e altrove assoluto.
Opere-oggetto, dunque, sia negli assemblaggi (realizzati con oggetti di recupero, lacerti di pelliccia e tanti altri ammennicoli provenienti da un angolo non esplorato dell’immaginario collettivo) che nelle opere “semplicemente” disegnate. Anche su queste ultime si affastellano i gangli della rimozione collettiva degli elementi turbativi.
La metamorfosi è presente anche nei lavori di Chiodi, laddove i suoi personaggi -bambini come rappresentanti universali della specie- sono colti nel bel mezzo di trasformazioni che li rendono strani incroci tra umano, animale e mostruoso. La tensione sessuale che intercorre fra tali personaggi è il simbolo dei rapporti di potere. È in atto una lotta trattenuta per definire reciprocamente lo spazio che spetta all’uno e all’altro. Tutte queste intersezioni di senso ed estetica, assieme alla sua irriducibilità alla rassicurazione delle categorie, fanno di Chiodi uno dei giovani artisti più meritevoli di essere seguiti.
Completa la mostra un intervento di Alberto Zanchetta, a metà tra opera e saggio critico. Un enigma in tutti i sensi, incorniciato e appeso alla parete.