Nel mondo dell’arte sopravvive ancora un anacronistico perbenismo che porta a discorrere a lungo sul valore estetico, simbolico e spirituale di un’opera, ma ad evitare come un tabù il suo valore monetario. Con la sua prima mostra italiana José Maria Cano (Spagna, 1959) offre veste artistica al mondo del denaro e alle sue declinazioni. Non si esprime sul piano dell’etica, ma mira ad innescare la riflessione autonoma del pubblico. Non denuncia, ma documenta. La tipologia dello spazio espositivo, una galleria privata, si rivela la più adatta per affrontare tale problematica. Qualcuno potrà ricordare il nome dell’artista in ambito musicale, come componente negli anni Ottanta della band spagnola Mecano. L’interesse per l’arte che già lo caratterizzava veniva allora soddisfatto attraverso il collezionismo. Proprio questa esperienza sta probabilmente alla base della riflessione sul mondo delle aste, che si concretizza nella serie Sotheby’s. Lotto 156 rappresenta un’asta nel momento in cui l’opera stessa vi è presentata, un’operazione meta-artistica che con una punta d’ironia alleggerisce la sacralità dell’arte. Partecipando a dinamiche commerciali l’arte si svincola dall’autorità indiscussa dei critici, si presta al giudizio di un pubblico più vasto a cui spetta addirittura il diritto di stabilirne il prezzo. La velocità di circolazione dei soldi può però disorientare e far trascurare la riflessione che dovrebbe precedere l’acquisto. Sorge il rischio di sentirsi legittimati a pensare –come presunti esteti dal gusto assoluto, o forse soltanto come bambini viziati– “è bello, lo voglio”. Il potere conferito dal denaro può degenerare in un senso d’onnipotenza tale da far addirittura desiderare il possesso di un altro essere umano. Su questo problema si innesta un’altra delle provocazioni di Cano. L’artista immagina (per assurdo, ma neanche poi tanto) un’alternativa estrema alla prostituzione: Why rent when you can buy? è il titolo della serie che ha per oggetto
Il rapporto tra finanza e informazione offre lo spunto per la serie The Wall Street One Hundred. Assai simili ad immagini redazionali -la collocazione giornalistica è suggerita anche dal testo tagliato che li circonda- i ritratti scomposti in pixel di Rupert Murdoch, Gary Tanaka, Sergio Marchionne, Alan Greenspan ammiccano anche ai fumetti ingigantiti di Roy Lichtenstein e ai dipinti di Andy Warhol. Personaggi noti della finanza e dell’economia mondiale assurgono così ad odierni idoli pop.
L’artista non polemizza, né si estranea snobisticamente dal mondo contemporaneo. Ma, in mezzo ai veloci cambiamenti imposti dal denaro, ritaglia del tempo per l’arte, utilizzando per le proprie opere l’encausto su tela, una lentissima tecnica risalente al IV sec a.C., testimoniata addirittura a Pompei. Osservando i quadri di profilo, individuando i loro diversi strati –legno, tela, cera pigmentata– si comprende come ad essi non presieda un impegno esclusivamente ideativo. Il successo di pubblico e di vendite riscosso presso la galleria Project B contribuirà comunque a ricompensare la fatica, sia intellettuale che materiale.
anita fumagalli
mostra visitata il 13 dicembre 2006
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