Gli scatti sono tecnicamente perfetti. La selezione in
galleria è omogenea. La resa è ineccepibile. L’ordine compositvo impresso ai
soggetti è quasi proverbiale. Le luminosità di ciascuna foto sono molto
accentuate. Mentre le distorsioni delle immagini sembrano sotto controllo. Da sottolineare,
inoltre, il nitore dei toni cromatici e le occasioni di presa fotografiche:
entrambi puntigliosi.
Ma risulta assai difficile riscontrare, almeno per questa
prima personale di
Federico Sambolino (Genova, 1975; vive a Milano), un processo formale che
sottolinei un percorso di sviluppo della sua sensibilità artistica
. Né, tanto meno, è semplice
(sfortunatamente) affidare agli scatti un valore di anticipatori (o
riformatori) estetici nell’ambito del
travel photo reportaging.
Forse è colpa del successo di pubblico della personale
milanese di
Steve McCurry, blasonatissimo e internazionalmente (ri)conosciuto
fotografo del
National Geographic. Ma
A Conversation in Colour di Sambolino risulta essere un
evento in scia rispetto alla priorità (poco sensibilmente artistica) delle
altre mostre incentrate sulle prodezze visive del viaggio.
Ecco dunque quel che si vede alla ProjectB. Ogni nube è
plasmata. Ogni cielo è tessuto. E, viceversa, ogni tessuto è un cielo a sé. Di
conseguenza, sono immortalati volti e figure intere (uomini, donne e ovviamente
bambini). Si trovano alcune comparse senza la dimensione attoriale della posa.
Insomma, tutto è dove dovrebbe essere: nel punto in cui, cioè, il fotografo è
rimasto posizionato per scattare. E dove lo spettatore avrebbe comunque potuto
immaginare.
Si trovano, alle pareti della galleria, alcune scenografie
ideali. L’occhio del visitatore, però, non inventa nulla di più, se segue i
soli elementi delle foto. Compie dunque un viaggio senza andare oltre quel che,
sicuramente nell’oltre, il reale ha voluto significare.
Che Sambolino abbia raggiunto ben più di cinquanta paesi
nell’arco degli ultimi dieci anni (dall’Europa all’Africa, dal Sudamerica
all’Asia, Oceania e Medio Oriente) sembra piuttosto evidente. Ed è anche
apprezzabile che abbia “
trovato terreno fertile per lo sviluppo dei propri
temi fotografici, intrinsecamente influenzati dalle tradizioni culturali e
artistiche locali”
. Ma attualmente risulta difficile,
forse per troppa mancanza di sequenzialità narrativa e di profonda incisività,
“
una rielaborazione personale delle culture e delle meraviglie naturali che
ha avuto la fortuna di ammirare, con particolare attenzione per l’insolito,
l’inaspettato, il dettaglio sorprendente”
.Si consiglia dunque
A Conversation in Colour a tutti coloro che vorrebbero
rimanere davanti alla natura come a un panorama. Uno
still life poco interpretativo, nel quale ravvisare
a tutti costi emozioni.