Mille momenti fa. Un disastro ambientale. Il grande ragno lascia la propria rete e si mescola ad una macchia di sangue umano. Nasce così la città dell’aria, una società di sole donne, protette da un presidente e da un mago. Il primo è amministratore politico, il secondo è il solo che protegga, confortando, dalla paura. Dall’essere preda.
Comincia così il racconto-esposizione di Magda Tóthová (Bratislava, 1979). Un’installazione video introduce al prologo. Poco prima di accedere all’interno della galleria, una voce extradiegetica narra la storia di una goccia di sangue. Sulla parete scorrono immagini di una corsa femminile, figure della paura, dissolvenze dell’affanno, ansie dell’essere braccati. La protagonista scappa fino all’angolo estremo di un giardino, lì dove il muro di cinta chiude. Nell’atroce culla che non lascia scampo. Rapita dal panico, la ragazza si punge con una spina e lascia il proprio sangue su una ragnatela. Dall’unione del materiale cromosomico umano con quello aracneo prende vita un mondo a sé.
Con questo bruciante inizio prende l’abbrivio la storia della Città dell’Aria. Magda Tóthová con La preda presenta una nuova utopia da sottoporre alle tante risposte dell’arte. La vita reale della giovane Tóthová si divide tra la visione dell’Est e quella dell’Ovest. Tra il comunismo di stampo sovietico e il capitalismo occidentalizzante. L’artista, tuttora residente a Vienna, sensibile ai crocevia socio-culturali del proprio vissuto, oscilla fra il dualismo di due differenti modelli del quotidiano.
E piuttosto che incappare in una scelta non così netta e spuria da implicazioni, la ragazza sceglie un nuovo, un terzo substrato sociale. Creando da zero la propria popolosa monade. Nella sua società le dilaganti protagoniste sono le donne, intoccabili creature che meglio di ogni altra nascondono le ansie e le paure per agevolare il controllo sull’al-di-fuori, sull’accidente. Nei lavori presenti a Gorgonzola la Tóthová rappresenta alcuni stralci di questo enorme, fantascientifico, net-work. Perché è proprio di lavoro di rete che si parla.
Uno spago di canapa sottende una grande ragnatela, di quasi tre metri di diametro. La sala principale della galleria è tagliata a mezz’aria dal diffondersi di questa orditura. Nel centro, una ragazza dà il benvenuto agli ospiti, invitandoli ad osservare la storia, l’identità e alcuni meccanismi sociali di questa grande-piccola utopia. In un’altra sala, invece, è installata la tenda dentro la quale il semi-dio della Rassicurazione riceve. Lo Stregone che salva e nasconde, occultando i pericoli delle paure. Dietro una cortina scura, chiunque entri troverà conforto. Una voce tiepida sarà pronta ad aspettare l’avventore al di là del ricevitore di un telefono rosso. La preda è l’ignoto della paura, ora state calmi e andate senza più fobie. Fuori da questo tempio conico, sulle pareti, le donne della Città dell’Aria osservano il reale. Numerose bolle trasparenti mostrano come e di cosa viviamo. Poco fuori dalla stanza dello Stregone, si trova la mappa della roccaforte aracnea.
Tóthová traccia con un pennarello nero su un supporto luminoso i cardi e i decumani di una città che ha le sue funzioni di nascita, morte, vita e risurrezione, tracciati secondo un solo percorso. Quello della ragnatela. E ancora una volta, dalla piccionaia dell’arte, si affaccia una giovane dotata di carica creatrice. Un’ottima esecuzione che, anche senza essere sotto le luci della ribalta, merita le attenzioni di tutta la prima fila.
ginevra bria
mostra visitata il 3 febbraio 2007
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