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23
giugno 2008
fino al 5.VII.2008 Nicola Bolla Milano, Corsoveneziaotto
milano
Sanitari e teschi tempestati di cristalli. Simboli di una società basata sull’effimero, che non guarda oltre la superficie delle cose. Quando il fashion diventa arte autoironica...
Il cielo più alto e luminoso equiparato al sanitario più fashion e scintillante. È l’Empireo a fare ironicamente da titolo alla personale di Nicola Bolla (Saluzzo, Torino, 1963; vive a Torino), che per l’occasione presenta un’inedita serie di lavori: le sculture-cesso.
Ma non si tratta di tazze per persone comuni. Quelli di Nicola Bolla sono sanitari per fashion victim. L’artista si appropria del ready made per eccellenza, rendendolo opera d’arte non attraverso la sottile logica dello spostamento di luogo corrispondente al cambiamento concettuale e di valori attribuiti all’oggetto, ma decorandolo in modo kitsch, stravolgendo completamente il gesto di Duchamp.
Il gabinetto comune viene reso oggetto che produce bellezza, rimanendo pur sempre un cesso. Così, “se a nessuno verrebbe in mente di pisciare in una scultura/orinatoio di Marcel Duchamp quando la trovasse in una mostra”, scrive Luca Beatrice nel testo in catalogo, “difficile ipotizzare il contrario per un’opera di Bolla installata nel suo luogo originario”.
Una serie, questa, ideata per la collettiva che Maurizio Sciaccaluga stava organizzando lo scorso anno per il Pac e che, saltata a causa dell’improvvisa scomparsa del critico, è stata ora riprogrammata per ottobre prossimo a cura della moglie Sabina Spada.
Dopo lo straordinario successo mediatico di For the love of god (2007) di Damien Hirst, Nicola Bolla ripresenta un suo lavoro fondato sul simbolo della vanitas per eccellenza. I suoi teschi, costruiti con tanti piccoli cristalli Swarovsky, ricordano infatti fortemente quello tempestato di diamanti di Hirst. Ma questa volta l’appropriazione non è di Bolla, che di teschi eseguiti con questa modalità ne produce già dal 1997. Che dire, allora? Forse un sentire comune, una manifestazione dello zeitgeist?
I teschi dell’artista di Saluzzo differiscono l’uno dall’altro per il cappello che indossano, che denota differenti professioni: il cappello si fa segno di una distinzione socio-culturale, di ruoli, che si rivela inutile per la comune sorte a cui ognuno di noi è destinato.
Quello di Bolla, che parallelamente al lavoro d’artista svolge la professione di oculista, è sostanzialmente un lavoro sugli oggetti, in cui è la visione a essere la parte più importante. Viene attratto dallo splendore dei cristalli, dalla luce, dalla trasparenza e dalla leggerezza delle strutture che crea. Una luce esteticamente bella, riflessa da più superfici specchianti, attraverso cui l’artista comunica l’idea della frivolezza. Sì, perché con le serie dei water e dei teschi, Nicola Bolla sostiene di voler rivolgere due critiche: verso il sistema dell’arte contemporanea e verso l’apparenza e l’effimero, elementi che da sempre attirano le fashion victim. Le quali, però, dice l’artista, rientrano fra i suoi stessi acquirenti.
Ma, a questo punto, sorge un interrogativo: la sua critica non è abbastanza incisiva oppure le fashion victim-acquirenti sono incredibilmente ottuse? O, ancora, Bolla è così geniale da riuscire a trarre profitto dalle stesse persone contro cui si schiera, prendendosi doppiamente gioco di loro?
Ma non si tratta di tazze per persone comuni. Quelli di Nicola Bolla sono sanitari per fashion victim. L’artista si appropria del ready made per eccellenza, rendendolo opera d’arte non attraverso la sottile logica dello spostamento di luogo corrispondente al cambiamento concettuale e di valori attribuiti all’oggetto, ma decorandolo in modo kitsch, stravolgendo completamente il gesto di Duchamp.
Il gabinetto comune viene reso oggetto che produce bellezza, rimanendo pur sempre un cesso. Così, “se a nessuno verrebbe in mente di pisciare in una scultura/orinatoio di Marcel Duchamp quando la trovasse in una mostra”, scrive Luca Beatrice nel testo in catalogo, “difficile ipotizzare il contrario per un’opera di Bolla installata nel suo luogo originario”.
Una serie, questa, ideata per la collettiva che Maurizio Sciaccaluga stava organizzando lo scorso anno per il Pac e che, saltata a causa dell’improvvisa scomparsa del critico, è stata ora riprogrammata per ottobre prossimo a cura della moglie Sabina Spada.
Dopo lo straordinario successo mediatico di For the love of god (2007) di Damien Hirst, Nicola Bolla ripresenta un suo lavoro fondato sul simbolo della vanitas per eccellenza. I suoi teschi, costruiti con tanti piccoli cristalli Swarovsky, ricordano infatti fortemente quello tempestato di diamanti di Hirst. Ma questa volta l’appropriazione non è di Bolla, che di teschi eseguiti con questa modalità ne produce già dal 1997. Che dire, allora? Forse un sentire comune, una manifestazione dello zeitgeist?
I teschi dell’artista di Saluzzo differiscono l’uno dall’altro per il cappello che indossano, che denota differenti professioni: il cappello si fa segno di una distinzione socio-culturale, di ruoli, che si rivela inutile per la comune sorte a cui ognuno di noi è destinato.
Quello di Bolla, che parallelamente al lavoro d’artista svolge la professione di oculista, è sostanzialmente un lavoro sugli oggetti, in cui è la visione a essere la parte più importante. Viene attratto dallo splendore dei cristalli, dalla luce, dalla trasparenza e dalla leggerezza delle strutture che crea. Una luce esteticamente bella, riflessa da più superfici specchianti, attraverso cui l’artista comunica l’idea della frivolezza. Sì, perché con le serie dei water e dei teschi, Nicola Bolla sostiene di voler rivolgere due critiche: verso il sistema dell’arte contemporanea e verso l’apparenza e l’effimero, elementi che da sempre attirano le fashion victim. Le quali, però, dice l’artista, rientrano fra i suoi stessi acquirenti.
Ma, a questo punto, sorge un interrogativo: la sua critica non è abbastanza incisiva oppure le fashion victim-acquirenti sono incredibilmente ottuse? O, ancora, Bolla è così geniale da riuscire a trarre profitto dalle stesse persone contro cui si schiera, prendendosi doppiamente gioco di loro?
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a cura di Luca Beatrice
Galleria Corsoveneziaotto
Corso Venezia, 8 (zona San Babila) – 20121 Milano
Orario: da lunedì a venerdì ore 10-13 e 15.30-19.30; sabato ore 10-13
Ingresso libero
Catalogo Silvana Editoriale
Info: tel. +39 0236505481; fax +39 0236505492; info@corsoveneziaotto.com; www.corsoveneziaotto.com
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