“Scultura 17” è un’opera esemplare per la comprensione della poetica di Fausto Melotti. Personalità eclettica (ingegnere elettrotecnico, pittore, scultore, ceramista e insegnante), l’artista roveretano tenne, nel 1935, la sua prima personale alla galleria “Il Milione” di Milano (culla dell’astrattismo italiano), presentando una ventina d’opere, in gesso e ferro nichelato. L’astrattismo di Melotti risponde all’aspirazione di creare un’arte che si rivolga all’intelletto più che ai sensi, pura e rigorosa, basata sulle leggi matematiche e geometriche che regolano anche la musica, e, in tal senso, classica.
Melotti rifiuta la modellazione – il piacere fisico di plasmare la materia e il tocco personale- per la modulazione, esaltando l’affinità con la musica, altra sua grande passione (fu autore ed esecutore).
L’artista opera in un ambito liminare, tra l’arte figurativa – la scultura in questo caso – e la musica, ricercando punti di contatto, affinità e parallelismi tra le diverse espressioni artistiche.
La sua è una ricerca che va oltre lo specialismo delle singole discipline, si muove in uno spazio ambiguo alla scoperta di nuove e inedite soluzioni, indaga i punti di confluenza e le affinità tra le diverse forme espressive. “Scultura 17” si situa in questa zona di confine, ibrido tra scultura e musica, concepita secondo le leggi appartenenti a quest’ultima, collocandosi in un ideale punto d’incontro. Costruita intorno a due fili che sostengono la trama di un rigo musicale scomposto in due temi – canto e controcanto – che si corrispondono nel movimento curvo e ascensionale, tendente alla bidimensionalità e strutturata su una scansione armonica di pieni e vuoti, è la rappresentazione tridimensionale di una melodia. Contrappunto, armonia, canone e variazione: questi sono i concetti chiave per leggere la scultura dell’artista roveretano.
La nichelatura conferisce al filo di ferro lucidità e una freddezza argentea, senza alcuna concessione alla piacevolezza del segno, della modellazione. Negli anni Sessanta Melotti la riprodusse in acciaio inox (versione presente in mostra), materiale che, per sua natura, esalta maggiormente queste caratteristiche.
L’astrattismo di Melotti si colloca nella direzione comune a molti artisti operanti negli stessi anni alla ricerca di un nuovo classicismo, basato sulla riscoperta dell’antichità, in opposizione al naturalismo novecentista. Affini a quella di Melotti è la ricerca di altri: pittori come Alberto Savinio e gli astrattisti Osvaldo Licini, Atanasio Soldati, Paul Klee e Lucio Fontana (gravitanti anch’essi intorno ad “Il Milione”) e gli architetti razionalisti Pollini e Figini e ancora lo studio BBPR, con i quali Melotti collaborò in quegli anni.
Le opere di questi artisti sono esposte accanto a quelle di Melotti, per rilevarne la comunità d’intenti e le affinità poetiche.
Le sperimentazioni astratte di Melotti vennero, all’epoca, praticamente ignorate: la sua opera, ora apprezzata pienamente, esprime una sensibilità contemporanea, volta alla ricerca di un ampliamento dei confini della pratica scultorea.
Rossella Moratto
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