La rassegna “Periscopio 2000”, promossa dal Settore Cultura della Provincia di Milano e dai Comuni di Rozzano e di San Donato, ci consente di conoscere le ultime tendenze dell’arte contemporanea. L’iniziativa si colloca all’interno del progetto “Metropoli” che, da cinque anni, mira a creare un rapporto di scambio culturale tra i Comuni dell’hinterland milanese.
La mostra, curata da Paolo Campiglio, Angela Madesani e Francesco Tedeschi, propone le opere di trentaquattro artisti, per la maggior parte italiani, nati tra gli anni Sessanta e Settanta.
L’esposizione è dislocata in tre sedi diverse: la Sala del Collezionista del Palazzo delle Stelline a Milano, dove sono collocate principalmente opere pittoriche e installazioni; la Cascina Roma di San Donato, in cui sono esposti interventi sul tema dello spazio e lavori di pittura e scultura; e la Cascina Grande di Rozzano, in cui sono inserite opere fotografiche e installazioni video.
L’importanza della manifestazione e i riconoscimenti che molti ex partecipanti hanno ottenuto, sono i motivi, per cui, da quest’anno, “Periscopio” diventerà una Biennale.
Palazzo delle Stelline, Sala del Collezionista
Le opere esposte testimoniano l’assenza di una tendenza e di una ricerca comuni, a vantaggio dell’affermazione e della valorizzazione dell’individualità del singolo artista.
Il percorso della mostra inizia con quattro tele di Raul Gabriel, pittore argentino che vive e lavora a Milano. Le sue pennellate e colate di colore, che sembrano rappresentare il “caos originario”, sono collocate in contrapposizione alle realizzazioni in bianco e nero, ispirate al mondo del fumetto, di Fausto Gilberti, che, attraverso il carattere ironico delle sue figure, punta il dito contro le promesse e i falsi miti creati dal mondo della pubblicità.
Alcune opere sono state eseguite con l’uso di nuove tecniche. Massimo Uberti utilizza, per esempio, la fotografia digitale per stravolgere il senso dell’ ”Abitare”. Altri lavori sono, invece, stati realizzati con materiali e tecniche tradizionali. Ne costituiscono una prova gli isolati spazi industriali, dipinti ad olio dal modenese Andrea Chiesi, ex collaboratore del gruppo musicale dei Csi, e “La settima pelle” di Maria Cristina Galli, un’installazione in ferro, legno e pittura, in cui traspare l’idea del lavoro inteso come “mestiere”dell’artista.
Merita una citazione anche l’opera di Claudia Losi, collocata al centro della sala, costituita da venti gomitoli, su cui sono ricamate le isole che compongono l’Arcipelago delle Orchidi, visitate e vissute dall’artista durante un viaggio, di cui parla un testo di Matteo Meschiari, posto in corrispondenza dell’opera stessa, intitolato “A Stone on Rinansey”.
Nell’uso della parola unito all’utilizzo dell’immagine, operazione che caratterizza anche il lavoro sul paesaggio di Mauro Maffezzoni, Francesco Tedeschi intravede le tracce della persistente eredità dell’arte concettuale, nello stesso modo, in cui la intendeva l’artista americano Sol Le Witt quando scriveva:” Questo genere di arte non è teoretica o illustrativa di teorie; è intuitiva, è coinvolta in ogni genere di processi mentali ed è senza scopo. È solitamente libera da ogni dipendenza dall’abilità manuale dell’artista” (Sol Le Witt, “Paragraphs on Conceptual Art” in Art Forum, n.10, 1967).
Queste ed altre interessanti considerazioni sono contenute nel saggio intitolato “Del concettuale, dell’ironia e altre storie” dello stesso Francesco Tedeschi, pubblicato sul catalogo della mostra, edito da Mazzotta, insieme allo studio di Paolo Campiglio sul rapporto autore–opera e agli scritti di Angela Madesani sul problema della “nuovo” nell’arte contemporanea.
È certo che nello spazio allestito al Palazzo delle Stelline – a mio parere eccessivamente illuminato – non abbiamo visto niente di veramente innovativo, ma è pur vero che, vivendo in un’era dominata dalla diffusione dei mezzi di comunicazione, in cui tutto sembra già visto e già fatto, risulta difficile che un’opera d’arte rappresenti una novità o una provocazione, e poi, come si domanda la curatrice :”Che senso ha, attualmente, dopo tutto quel che è stato – soprattutto dopo Duchamp – continuare a porsi il problema della provocazione?”
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si sta finendo !!!
Perchè la vostra redattrice ha parlato solo delle opere esposte al Palazzo delle Stelline di Milano? A San Donato e a Rozzano c'erano lavori ben più interessanti. E poi non potevate scriverlo prima questo articolo? La mostra sta per chiudere. Boh!!!
è già finita?