Otto anni dopo la grande retrospettiva di Palazzo Reale, Afro torna a Milano con un’importante mostra che ne documenta l’attività artistica dagli anni Cinquanta sino alla morte, avvenuta nel 1976 a Zurigo.
La rassegna antologica, che inaugura i nuovi spazi della Galleria Poleschi Arte, comprende una trentina di opere di grandi e medie dimensioni. I lavori esposti documentano l’esperienza neocubista (Paesaggio per Goldoni, 1951), la fase informale (Ponte delle tarantole, 1960) e il periodo astratto (L’horologe, 1975; Controsenso, 1975). Queste ultime opere – osserva Annalisa Boreatti, in catalogo – rivelano una ricerca di ordine, di misura, di ripiegamento dell’artista su se stesso, ormai lontana dalla trascorsa esplosione emozionale-espressiva.
Tra i tantissimi fatti che hanno segnato la pittura di Afro, tra il 1950 e il 1975, vanno ricordate almeno le tappe più significative: il costituirsi del Gruppo degli Otto, formato da Afro, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova (1951-1952); i soggiorni newyorkesi e i riconoscimenti negli Stati Uniti (a partire dal 1954); i grandi premi della Biennale (1948-60), la mostra personale alla Galleria Catherine Viviano (1963); e la realizzazione di alcune gouaches (tecnica pittorica, in cui i colori vengono stemperati in acqua e gomma arabica), tra il 1964 ed il 1968.
In quest’ultimo periodo, Afro espone i suoi lavori soprattutto in Europa, discostandosi dagli Stati Uniti e dal mutato clima che si andava affermando. Tra il marzo e l’aprile 1969, si svolge la sua prima grande retrospettiva alla Kunsthalle di Darmstadt, dove sono esposte tele, che spaziano dal periodo figurativo fino agli ultimi anni, oltre a lavori su carta, opere grafiche e disegni.
Nel 1973 partecipa alla mostra “Situazione dell’arte non-figurativa” al Palazzo delle Esposizioni di Roma, nell’ambito della X Quadriennale.
L’architettura dello spazio espositivo, con la sua forma quasi circolare (ellittica), consente di guardare le opere in progressione cronologico-pittorica, oppure di saltare con l’occhio da un punto della sala al suo opposto geometrico, passando disinvoltamente da una tela all’altra senza seguire un movimento necessariamente retto o lineare.
I colori delle tele sono, secondo la tradizione luministica e cromatica della pittura veneta, disposti con armonia e omogeneità. In particolare se guardiamo al periodo informale, forse il più felice, vediamo come Afro riesce ad esprimere con altissima qualità una leggerezza sospesa, un elastico, soffice uscire della forma-luce-colore dal quadro.
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