C’è qualcosa d’inquietante e giocoso nei video di John Bock (n. 1965). Nella penombra delle sale si proiettano le immagini di un mondo stralunato di sogni infantili, trasfigurati in una dimensione onirica grottesca. Un cammino introspettivo nel mondo dell’artista, bizzarro mix di figure carnevalesche che sembrano uscire da commedie slapstick e vaudeville, nella cui comicità empirica è insita una violenza deliberatamente ridicola e maldestra. Con un tono sfrenato e chiassoso, animali da circo, musica, danza e la spontaneità di personaggi come stuntman privi di qualunque senso inibitorio.
Il caos, il disordine pervadono l’atmosfera mentre si scende la scalinata, osservando le immagini di un combattimento -il video Boxer– che sdrammatizza la violenza repressa con due figure circensi che si lanciano della verdura.
In Alice Cooper Bock veste i panni del rocker americano, trasfigurazione vagamente horror di un innocente clown che emula l’esibizione selvaggia di un concerto nello scenario assurdo di un campo innevato. Presente nell’immaginazione di Bock fin dall’infanzia è l’incontro in cui Dalì definì Alice Cooper “il miglior esponente della confusione totale”: insieme all’esibizionismo e ad un’eccentricità esasperata è un elemento che ha influenzato tutta la sua produzione. Come Dalì, anche Bock travestendosi sperimenta l’arte sul proprio corpo, agitando sacchi di pelle che sono prolungamento delle braccia e facendo indossare ai suoi personaggi stravaganti caschi.
In una dimensione surreale, sogno e follia sono mezzo di fuga dalla razionalità e la comunicazione avviene attraverso la giustapposizione di frasi illogiche. Bock racconta la realtà stravolgendone le dimensioni e concentrandosi sui particolari ingigantiti: osserva il suo coniglietto muoversi attraverso marchingegni e meccanismi domestici, interagisce con macchine fantastiche, come il “tagliaerba impazzito”, attrezzi apparentemente animati, che sembrano essere protagonisti dei video insieme all’uomo.
La commistione di euforia e deformazione grottesca torna nel teatrino di A Gentleman works when a gentleman works: dialogo politically incorrect tra un pupazzo, una bambola e l’artista, che sono tutto fuorché rassicuranti o innocenti. Bock vuole deliberatamente colpire e sconvolgere per cercare una reazione nel pubblico ed al contempo realizzare un’arte facile, per “raccontare il mondo in modo facile”.
Il film Meechfieber, protagonisti attori professionisti, è girato nel contesto famigliare della fattoria dove Bock è cresciuto, in un’atmosfera surreale di campagnoli-inventori pazzi e tentativi rocamboleschi di far funzionare strane ed improbabili macchine.
L’accostamento di immagini non strettamente relazionate, come la nascita di un vitello rappresentata in modo non aulico, danze frenetiche e l’utilizzo aggressivo e distruttivo di attrezzi da lavoro, esprime quell’automatismo psichico, quel “flusso di coscienza” irrazionale da cui scaturisce una rappresentazione dell’assurdo, di una realtà parallela, che attira ed insegue il visitatore. Attraverso suggestioni, echi di frasi, frammenti musicali e fotogrammi che sono, per dirla con Breton, “il dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo, al di là di ogni preoccupazione estetica o morale”.
francesca ricci
mostra visitata il 9 novembre 2004
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