LaChapelle come critico sociale. È una lettura inedita quella fornita dalla grande antologica a Palazzo Reale. Con 350 foto, è la più completa mostra realizzata sul fotografo statunitense. Se
David LaChapelle (Fairfield, Connecticut, 1963) è sempre stato visto come creatore di visioni
glamour sessualmente eccitanti, avviene ora un’inversione di tendenza. Vi contribuisce in prima persona l’artista, che ha recentemente deciso di abbandonare la foto su commissione.
Nascono così i nuovi lavori. La serie
Recollections fotografa momenti quotidiani con stile volutamente trasandato, che evidenzia la devianza presente anche in un placido, tradizionale quadretto di famiglia. Nei
Diluvi, le sale dei musei sono allagate, travolgendo metaforicamente l’artista e gli spettatori. Nel ciclo
Jesus is my homeboy vanno in scena epifanie sacre in desolati scenari urbani: quasi una parodia dell’ottimismo di ogni fede, parodia che trasforma il Cristo in un supereroe alla stregua di Superman. Infine, il monumentale
Diluvio, epocale nel mescolare l’estetica da
fashion system con la
fine art: le scene della Cappella Sistina di
Michelangelo sono riallestite sul set, interpretate da scintillanti modelli.
Poco importa che questi ultimi cicli siano i meno riusciti del
corpus di LaChapelle. L’estetica
low-fi di
Recollections è stata sperimentata con migliori risultati da decine di fotografi negli ultimi anni e il
Diluvio risulta pretenzioso e lezioso, eccessivamente “integrato”, in un certo senso. In ogni caso, queste serie gettano una luce retrospettiva sulle notissime foto precedenti. LaChapelle attira le star in una trappola falsamente celebrativa, e le deturpa. Rende evidente la loro natura di veicolo degli oppressivi dettami della società dei consumi. Il sesso risulta essere spersonalizzante anestesia (un’“arma di distr
azione di massa”, come verga sulle sue tele la giovane pittrice
Eloisa Gobbo). Non si tratta però di sermoni pseudo-politici. LaChapelle esagera i tratti visivi della nostra società, trasforma lo scintillante in disgustoso tramite la ridondanza. Allestisce come un’orgia di colorati fluidi corporei che diventa nauseante. Mai critica indiretta fu più efficace: quest’ambiguità critica situa il fotografo tra gli eredi diretti della Pop Art, con cui condivide fini e mezzi, seppure aggiornando questi ultimi.
Non è un caso che il curatore Gianni Mercurio allestisca una sala dedicata a citazioni di artisti pop, da
Oldenburg a
Hamilton a
Warhol. Va ascritto a Mercurio il coraggio di leggere in maniera così inusuale l’opera di LaChapelle. Pochi altri avrebbero intitolato le sezioni della mostra
Distruzione e disastri,
Accumulazione,
Consumo e
Plastic people, avallando una rara lettura di secondo grado di opere spesso fraintese. E pochi altri avrebbero “sfidato” l’assessore Sgarbi, esigendo un raddoppio dello spazio espositivo a disposizione. Attenzione dunque a quest’eccezionale mostra: lo sfarzo estetico-erotico prodotto da LaChapelle nasconde il lato oscuro della società odierna. Un tocco di glam ci seppellirà.
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BASTA con ste mostre fatte esclusivamente da sponsor in contesti storici e istituzionali italiani!
e BASTA a queste orribili recensioni di Stefano castelli-prezzemolo che dice sempre le stesse cose, noiosamente di ogni mostra!
ho visto la mostra..E' molto bella, soprattutto le figure in sospensione...La consiglio a tutti...
GRANDE PETRA
Però ha uno stile che non ha eguali, comunque è da vedere!!
Avendo lavorato in Pubblicità, La Chapelle l'ho conosciuto in tutti i modi e ormai mi ha un po' rotto... e lo trovo vecchio... superato. Bah.
Glitterosa e patinata, ma io mi sono stufato.
Banale e sopravalutata.
Avrei potuto spendere meglio i 9 euri dell'ingresso!