La fama di
Lucio Fontana (Rosario di Santa Fè, Argentina 1899 – Comabbio, Varese 1968) è soprattutto legata alle sue tele bianche tagliate. Nella mostra al Castello di San Giorgio, tagli e buchi compaiono su superfici differenti: terracotta, cemento e metallo. La povertà o la semplicità del materiale circostante non è rilevante, poiché è la dimensione al di là del quadro a interessare l’artista. Queste opere, per lo più intitolate
Concetto spaziale e risalenti agli anni ’50, sono ispirate a una
“filosofia del niente” -per riprendere le parole dello stesso Fontana- che non prevede una distruzione del reale, ma una tensione creativa che lo supera.
Le prime avvisaglie di questo peculiare concettualismo si possono già individuare nelle sculture astratte degli anni ’30 e ’40, ottenute con fil di ferro e argilla, cemento bianco o bronzo dorato graffiti. Nel percorso verso l’astrazione più totale, Fontana attraversa diverse declinazioni scultoree che ancora appartengono alla figurazione.
Il Fiocinatore, pezzo forte dell’esposizione, riprodotto anche sulla locandina, è un apparente bronzo che sorprende per la sua leggerezza e delicatezza, in realtà conferitegli dal gesso. Le forme sono concluse ed equilibrate, ma il soggetto è sbilanciato in avanti, con la fiocina sollevata, nel momento che precede l’azione. Una citazione neoclassica o forse, già da ora, una tensione al superamento dei confini spazio-temporali.
Il percorso prosegue con alcune ceramiche, da piccoli oggetti come le farfalle a busti femminili, la cui materia “terremotata” sembra aspirare a una continuità nello spazio. Se nell’indefinitezza dei contorni si può ravvisare un’eco di
Medardo Rosso, la rivoluzione risiede nella scelta del materiale: semplicemente ceramica, secondo i critici, ma per Fontana si tratta d’una materia attraente, da modellare per dar vita a vera e propria scultura. Il senso più autentico non sta tuttavia nel risultato finale, quanto nel compiere un gesto che comporta un’incursione nello spazio. Non bastano neppure le tessere musive per arginare la spinta attivistica insita nella scultura di Fontana. Lo dimostra il mosaico nero e oro di un gallo, innovativo non solo per la sua tridimensionalità , ma anche per l’impressione di continuo movimento generata dai suoi contorni ondulati.
Se nelle sale principali l’approccio offerto allo spettatore è quello tradizionale, puramente visivo, si può godere d’una sensazione di fusione con l’arte nell’
Ambiente spaziale a luce nera, ricreato in una saletta sotterranea. La luce di Wood annulla le dimensioni, avvolge lo spettatore e offre alla percezione soltanto ramificazioni fluorescenti, simili a piante fluttuanti nell’universo o a coralli immersi in profondità oceaniche. Tappa obbligata uscendo dalla mostra è una visita al piano superiore, alla
Camera degli Sposi del
Mantegna. Qui si compie il pieno straniamento, dall’annullamento del tempo a un documento manifesto della Storia.
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mostra visitata il 15 settembre 2007