La mostra in via Turati riporta alla mente una frase dell’artista irlandese
Brian O’Doherty, che suonava più o meno in questo modo: “
Il minimalismo ha ucciso la metafora”. I pittori analitici, che tanto devono a quell’arte e al concettualismo, non indulgono a metafore e, se a “figurativo” viene contrapposto quasi sempre un generico “astratto”, va puntualizzato che gli artisti presenti alla Permanente si sono impegnati nel difficile (e paradossale) proposito di creare l’equivalente pittorico, sensuale dell’arte concettuale. Qualcosa di cosciente della propria articolazione come linguaggio, ma veicolo di nessun messaggio. Scevro da interpretazioni, crudo nella propria evidenza, ma bello. Né l’ironia di
Klein, né l’espressività di
Kandinsky, solo esemplificazione della pittura: un passo oltre la retorica che sopravvive in molta arte astratta.
Gli artisti sono selezionati in quel decennio particolare, gli anni ’70, che ha visto il periodo migliore del movimento. È una raccolta di gesti risoluti e, in alcuni casi, risolutivi. Le grammature di colore di
Elio Marchegiani, i tratti tridimensionali di
Pino Pinelli, le tele ritmate dai colori di
Giorgio Griffa, le campiture monocromatiche di
Gianfranco Zappettini. Elementi singoli, primari (colori come blu, rossi, giallo, bianco e nero) e isolati che si presentano nella loro fisicità, nel fascino dei materiali (la lavagna, il plexiglas di
Marco Gastini, il cartone, la tela). L’entusiasmo analitico abbraccia la lettera più che la parola, l’alfabeto più che il dizionario. Il movimento -Pittura Analitica o Pittura Pittura o Nuova Pittura- era di livello internazionale, ma non ottenne mai gli onori più alti. Si dice sia stato per la freddezza quasi scientifica, per la morte dell’autorevole Filiberto Menna, che lo sosteneva, e per l’incisività con cui si imposero strutturalismo e transavanguardia.
Nella mostra, contemporanea al Premio Agenore Fabbri, è stata ritagliata anche la sezione
Nuova Pittura, curata da Klaus Wolbert, presidente della Fondazione VAF di Francoforte. Vi si trovano artisti come
Dadamaino e
Schifano, più caldi ed emotivi degli analitici. Probabilmente questa selezione è stata pensata come raccordo tra le opere del primo piano e il Premio, dove prevale un dialogo con i new media che Giorgio Bonomi, storico sostenitore del movimento, ipotizzava come proficuo anche per gli analitici, seppur in direzioni non figurative.
Ciononostante, il passaggio tra una mostra e l’altra risulta abbastanza disorientante, anche per la presenza della doppia personale di
Alvaro e Togo, che occupa una stanza sola e cozza un po’ con l’asciutta sobrietà dei pittori analitici, oltre a portare di fatto a quattro il numero di esposizioni in uno spazio che di solito ne ospita due soltanto.