Territori dellâinconscio è il titolo della prima personale in Italia di
Annabel Elgar (Londra, 1970). Ma forse sarebbe stato opportuno consacrare lâevento al
territorio dellâinconscio, insistendo sullâautoriferimento dellâinconscio a sĂŠ stesso. Come
La Critica della Ragion Pura, la Ragione che si rifĂ a se stessa. Piace pensare che lâallestimento della mostra sia il teatro di un viaggio, la rappresentazione di un passaggio dalla natura proteiforme e magmatica del sogno alla limpidezza della luce, dalla visione estetica del profondo allâindividuazione dellâio. E anche qui sâintende parlare di unâautoascrizione in prima persona: lâio che individua sĂŠ.
Il viaggio analitico può durare per anni, i
tableaux vivants dellâinconscio in mostra richiedono unâora. Ă una storia di passaggi. Le prime fotografie sono dominate da tonalitĂ buie su cui squillano frammenti di colore, che preconizzano lâapertura alla luminositĂ fredda e limpida delle ultime opere della serie. Nei lavori di Elgar lâidentità è surdeterminata: la persona è colta di spalle, vista di scorcio e frammezzata nel teatro onirico. Spesso presenti sono i bambini, perchĂŠ rappresentano lâelemento potenzialmente vitale di contro alla fissitĂ dei personaggi adulti. Che sono ritratti allâinterno di una casa, mentre i bambini stanno in spazi aperti,
davanti allâelemento simbolico della casa. Come in
The Rehearstal, dove un uomo di spalle guarda fuori dalla finestra in un interno tetro ma con il soffitto coperto di palloncini colorati, e
Spacehopper, che raffigura un bimbo seduto su una grande palla gialla di fronte a unâabitazione con le luci accese e le tende tirate, mentre in primo piano un albero si sviluppa come braccia sui cui rami spogli crescono frutti maturi.
Due opere la cui intima suggestione è sintetizzata in
Torch: una donna sembra aver scostato la tenda, sta alla finestra, vede un prato, una costruzione che va in fiamme, lo scivolo accanto allâincendio e sul manto erboso i giocattoli. Fin qui il tono dellâambientazione è dominato dal buio, ma su di esso brillano tracce di colore, come in
The Rising, dove un drappo rosso fiammeggia in unâambientazione desolata e fa pensare al rosso squillante delle redini del cavallo che sâimpone nella
Morte di Sardanapalo di
Delacroix. O come in
Decoy, paesaggio silvano dove il sole forse è al tramonto ma in fondo alla
stimmung autunnale si apre un piccolo squarcio brillante.
Apparenti
nonsense: i frutti maturi e il loro albero spoglio, alfa e omega. Ă lâannunciazione di una progressiva apertura. La mostra prosegue con opere in successione, caratterizzate dalla purezza cristallina della luce. TonalitĂ sature di pulizia, luminose come il bianco ghiaccio del cielo e il verde degli alberi di
Captive, che sembrano concludere il viaggio con lâultima opera della serie,
Underpass, e segnare al contempo il passaggio verso una nuova apertura: una bimba bionda corre sola sulla bici -ricorda lâombra dechirichiana della giovinetta di
Mistero e malinconia di una strada-, pedala determinata lungo un sottopassaggio davanti a due personaggi adulti.
La cui identità è nascosta non da un elemento costrittivo ma da una ragione di affetto reciproco, non piÚ solitari osservatori di se stessi attraverso una finestra. La bimbetta corre verso gli alberi che si vedono in fondo su un cielo terso, non troppo lontani.