L’aggiornamento dell’operazione
allo stato dell’arte nel qui-e-ora, grazie all’accuratezza e completezza della
curatela, dalla cernita esaustiva all’allestimento strutturato a percorso,
suscita svariati interrogativi comparativi, secondo il doppio asse temporale e
geografico.
La scultura come forma
espressiva attraversa un periodo critico di transizione ed è alla ricerca di un
nuovo status, smarrita la funzione celebrativa senza la possibilità di
approdare alla pura astrazione a causa della sua intrinseca relazione con la
materia. I materiali nobili, come il marmo, connaturati all’eternare l’armonia
del corpo, del gesto e della proporzione, dagli atleti e dei della Grecia
classica fino a Canova, sono
nell’attualità più soliti adornare le sale di bagno di nouveaux riches russi. Ne consegue che il confine tra scultura e
installazione sia sempre più incerto. Tuttavia si tratta di una questione
teorica e pratica globale.
Cercando invece un confronto
locale tra le prove più significative dell’arte plastica contemporanea italica
e i più celebrati corrispettivi internazionali, il risultato non pare a nostro
favore, a riprova che l’arte è sempre figlia del proprio tempo e delle
contingenze storico-politiche e culturali.
Ci sono eccezioni, ovviamente.
La superstar Vanessa Beecroft declina
il consueto lavoro sul corpo femminile in un crescendo dal blocco grezzo al
solido astratto fino alla forma umana delle gambe, uno spaccato trifasico della
creazione, in tutti i sensi della parola “creazione”. Specularmente
l’eccellente Michelangelo Galliani prova
la possibilità di aggiornare il discorso straniando modelli e tecniche
classiche in un conturbante P.G.R.
che ricorda concettualmente le pubertà castrate di Egon Schiele e formalmente gli schiavi morenti della statuaria
classica, a differenza di chi preferisce rifare ermafrodito il David di Donatello in cera rosa, secondo il gioco facilissimo del colpo a
effetto pseudo-freudiano fine a se stesso e di cattivo gusto, nato vecchio
perché non scandalizza più nel post-Duchamp.
A proposito di trovate, c’è
ovviamente Maurizio Cattelan con il
cavallo tassidermizzato al contrario. Come sempre, l’impressione è del gioco
dada e della successione di trovate più o meno divertenti, più o meno riuscite.
Tra le opere di confine (e
sconfinamento) verso l’installazione, Madonna
scheletrita di Bertozzi e Casoni ha
il merito di prestare il grande numero di oggetti
affastellati a un’ermeneutica aperta, come nelle migliori opere di
assemblaggio.
Altrove si assiste agli ultimi
colpi di coda dell’Astrattismo superconcettuale, dell’Arte Povera e di esempi
ironici al confine col bric-a-brac stile Fiorucci
(un water closet che riproduce i muscoli della cavità orale; un monaco a
rotazione perpetua).
Scarseggiano i discorsi radicali
e articolati, che possano fondare una rinnovata necessità della scultura in
forme e modi nuovi. Ad esempio, e facendo nomi quasi mainstream, indagando la
deriva dello status individuale (Anthony
Gormley) o la deformazione allucinatoria degli immaginari referenziali
collettivi (Katharina Fritsch). Non
si trovano neppure opere così smaccatamente pop e situazioniste da risultare
irritanti ma sicuramente parlanti a proposito dei sistemi sociali ed economici
(l’ultimo Jeff Koons o le
provocazioni di Damien Hirst).
Insomma, il latitante è la presa
sulla contemporaneità avendo qualcosa di importante da dire.
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mostra visitata il 9 gennaio
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dal 19 ottobre 2010 al 6 febbraio 2011
La scultura italiana del XXI secolo
a cura di Marco Meneguzzo
Fondazione Arnaldo Pomodoro
Via Solari, 35 (zona Tortona) – 20144 Milano
Orario: da mercoledì a domenica ore 11-19 (ultimo ingresso ore 18); giovedì ore
11-22 (ultimo ingresso ore 21)
Ingresso: intero € 8; ridotto € 5; libero ogni seconda domenica del
mese
Catalogo FAP
Info: tel. +39 0289075394; info@fondazionearnaldopomodoro.it; www.fondazionearnaldopomodoro.it
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