L’arte da sempre attraversa frontiere e barriere
geografiche, reinventa il tempo della storia e fa rivivere percorsi ormai
abbandonati e dimenticati. È ciò che avviene nelle sale della Galleria Impronte,
dove
Gulnara Kasmalieva (Frunze, 1960; vive a Bishkek) e
Muratbek Djumaliev (Biskek, 1965), artisti kirghisi
presenti già alla Biennale di Venezia del 2005 nel Padiglione del Centro-Asia e
attualmente tra gli otto finalisti del Premio Internazionale di Arti Visive
Artes Mundi, propongono un inedito percorso sulle tracce dell’antica Via della
Seta.
Itinerario geografico ma anche simbolico, per almeno 17
secoli la Via della Seta ha rappresentato la più importante rete di
comunicazione fra Oriente e Occidente. 8mila chilometri di percorsi terrestri,
fluviali, marittimi sui quali si sono mossi nei secoli condottieri, eserciti,
pellegrini, artisti, esploratori (alcuni divenuti celebri, come il nostro Marco
Polo). Un vero e proprio network, una rete allargata dove viaggiavano, insieme
alle merci, tradizioni, idee, cultura e religioni diverse, in un continuo e
gigantesco melting pot che mescolava elementi ellenistici, iraniani, indiani,
cinesi…
Una nuova Via della Seta: Algoritmo di Speranza e
Sopravvivenza (2007)
,
l’opera che dà il
titolo alla mostra, è una videoinstallazione a cinque canali che riassume, in
nove intensi minuti di girato, un viaggio lungo diversi giorni dalla terra del
Kirghizistan alla Cina.
Protagonisti del viaggio sono i camion carichi di ferraglia
arrugginita, lascito dell’ex impero sovietico, destinata alle industrie cinesi
e che verrà scambiata dai kirghisi con abiti a buon mercato. Il pallido spettro
dell’ormai lontano periodo sovietico, spazzato letteralmente via dal paese,
viene barattato con indumenti cinesi e metaforicamente sostituito con un nuovo
stile di vita globalizzato.
I camion trasportano oltre le frontiere pezzi di storia,
cercando di seppellirla e cancellarla. Ma quelli che parlano sulla loro strada
sembrano invece essere paesaggi e scenari necessariamente portati a conservare
tradizioni e vicende, impregnati come sono di storie e uomini. Sul percorso,
tra pianure desertiche, panorami alpini e strette gole rocciose, s’incontrano
la povertà e la desolazione di una terra che ancora non ha trovato un
equilibrio economico e sociale dopo il crollo del potere sovietico e che è
tuttora alla ricerca di una nuova identità.
Nonostante la fragilità di questa situazione sia
rappresentata perfettamente nel video, poetico e desolante al tempo stesso,
quello che colpisce e rapisce lo spettatore è la forza della musica che
accompagna le immagini: una canzone tradizionale che guida il viaggio e riporta
al folklore ancora vivo di un popolo fiero e coraggioso. La musica ha un ruolo
fondamentale anche nell’altra video-installazione in mostra,
Primavera (2009), in cui Kasmalieva e
Djumaliev si servono della celebre musica di Vivaldi per raccontare con
immagini simboliche l’atteggiamento preoccupante dell’uomo nei confronti di una
natura sempre più aggredita e in pericolo.