Questo è il colore per
Franco Fontana (Modena, 1933), un potenziale straordinario che la natura offre all’occhio umano e dal quale il mezzo della fotografia attinge per creare immagini dall’ampio respiro astratto, tese fra il tocco severo di una tavolozza nitida e una luce spesso calda e avvolgente, come un anelito di vita insufflato tra le linee della costruzione compositiva. Colore, luce e composizione: sembra di parlare di un dipinto, invece è fotografia. A testimonianza del fatto che il mezzo meccanico non annienta affatto l’artisticità a tutti gli effetti del prodotto; anzi, grazie ai grandi maestri come Fontana, riesce a creare un linguaggio autonomo e completo, e non solo in bianco e nero, come vuole la tradizione.
La mostra offre un assaggio di tutto questo, dai nudi in piscina degli anni ’90,
dal sapore pop e che ricordano i primi
environment di
Martial Raysse ma con un tocco di malizia e voyeurismo in più, fino a una interessante serie di immagini dell’Eur di Roma. Plasticità allo stato puro, nel segno di una ricerca astratta delle forme e del colore, diviso nettamente tra il cielo lapislazzuli e quello dell’architettura, riempito e svuotato dai giochi di luci e ombre.
Presenti anche poche ma significative immagini del grande lavoro svolto da Fontana sul paesaggio del Centritalia, che gli hanno valso la definizione di “impressionista astratto” della fotografia. L’obiettivo lascia parlare le colline con i loro fiori e campi. Il paesaggio ritorna alla sua accezione romantica e diviene specchio dell’anima: i colori sgargianti, la luce abbagliante e le nette definizioni delle chiazze cromatiche superano la naturalezza della realtà, trascendendo l’azione di mimesis del mezzo fotografico e capitolando a una visione decisamente “ritoccata”, ma proprio per questo soggettiva, intima. Fontana è “impressionista” perché riesce davvero a catturare l’immagine che dall’occhio arriva diretta alla mente dell’osservatore; il suo scatto immortala per sempre quest’incredibile passaggio.
Una nota di merito per questa piccola esposizione è l’utilizzo anche di materiale vintage, una scelta spesso scontata ma che non tutti i curatori prediligono, per motivi di mercato o estetici. Le stampe vintage mantengono il cordone ombelicale con il tempo e lo spazio che le hanno generate, con l’
intentio dell’artista, confermando come ineluttabili scelte di luce e sfumature che, altrimenti, nelle ristampe andrebbero spartite con lo stampatore.
Per dirla alla Walter Benjamin, le vintage possiedono un’“aura”, e le mostre che come questa le includono. Valorizzando il loro significato intrinseco, sono rilevanti sia dal punto di vista tecnico che da quello critico-artistico.