In concomitanza con la rivolta di
Piazza Tian’anmen alla fine degli anni ‘80, la Cina accelera quel processo di
apertura già iniziato un decennio prima e, nel corso degli ultimi vent’anni, il
suo sviluppo economico raggiunge livelli inaspettati, seconda (ancora per poco)
solo agli Stati Uniti.
Le 180 opere in mostra a Palazzo
Reale, divise in sette sezioni a partire dal 1993, ripercorrono coerentemente l’inarrestabile
escalation creativa della Repubblica popolare, dagli “Esordi della Pittura” dei
più noti
Zeng Fanzhi,
Liu Ye,
He Sen e
Feng
Zhengjie,
fino alle recentissime “Sperimentazioni
Satellitari” di
Zhu Hai,
Fu Hong,
Li Dafange e
Xiao
Ping, che
riprendono nitide rappresentazioni della realtà, talvolta stilizzate, talvolta
microscopicamente precise, ma allo stesso modo legate a un mezzo caro alla
tradizione cinese, quello pittorico.
Il veloce passaggio dall’identità
massificata, propria della cultura comunista, a quella soggettiva, influenzata
dall’avvento della globalizzazione e dalle reminescenze pop di matrice
americana, si avverte con l’emergere prepotente dell’analisi psicologica,
attraverso un crescente uso della performance
– coraggiosamente implicata nelle
sperimentazioni del gruppo dell’East Village
negli anni ‘90 – e soprattutto del
colore.
Si pensi agli introspettivi e
monocromatici ritratti di
Zhang Xiaogang (
Comrade Portrait No.1, 1998) o agli importanti formati
di
Ma Liuming (
Painting
No.1, 2004
), fedelissimi nella riproduzione
del soggetto ma sconnessi e inquietanti a causa di qualche particolare non
proporzionato.
Fino a giungere agli abbaglianti personaggi della “Cartoon
Generation”, quelli di
Chen Ke,
Zhang Hui,
Gao Yu e
Wang Qian, la generazione cresciuta a cartoon e comics
che rispecchia, come già avvertito
in parte nell’ambito nipponico, da un lato l’attaccamento al mondo delle icone
ereditato dalla tradizione figurativa popolare, dall’altro il senso di
smarrimento proprio di un’evoluzione troppo incalzante e serrata.
Non vanno infine dimenticati gli
interessanti risultati concettuali – che ammiccano ancora una volta
all’Occidente – di
Liu Wei e
Jiang Zhi, promotori di una feroce politica accusatoria nei
confronti degli eccessi della società contemporanea, e il vasto panorama
fotografico: potenziato da un notevole uso degli strumenti digitali, si
distacca dalla corrente pittorica per affrontare in modo più agevole e dinamico
tematiche attualissime, quali la posizione contemporanea della donna – come
nelle opere di
Cui Xiuwen e
Chen Lingyang, forse le più evocative di tutta la mostra – o il
rapporto fra cultura e urbanizzazione, poetico nelle immagini di
Weng Fen (
On the Wall, 2002-03), ironico in quelle di
Li
Wei (
Fall to
the Earth, 2002-03).
Un fervore che pare incontenibile,
un rinascimento, quello cinese, non solo politico ed economico, ma anche
sociale e culturale. Come a dire, riprendendo lo slogan di qualche anno fa in
occasione delle Olimpiadi di Beijing, la Cina è vicina, ma non abbiatene paura.