In inglese, il significato della parola
tangle, a seconda dell’uso, può assume sfumature inattese, che però ben si adattano al titolo e all’atmosfera tematica della personale milanese di
Daniel Canogar (Madrid, 1964).
Seppure persegua un ideale ordine alfabetico di un ancor più antologico linguaggio rappresentativo, la mostra contiene in sé poche caratteristiche e variegature visive, che inquadrano però, in maniera completa, un percorso evolutivo rispetto agli ultimi progetti dell’artista spagnolo. Dunque aggrovigliare, avviluppare, annodarsi, per arrivare alla distorsione del confondere, dell’imbrogliare e a un ancor più sinistro contorcersi, fino poi a intricare precipitando, sono le etimologiche definizioni-azioni che animano e sono racchiuse sotto il segno e sotto il significato di
tangle.
Intervallate da un continuo scambio metaforico tra il mondo della macchina e quello dell’uomo, in mostra sono esposte cinque installazioni, cinque enormi gomitoli intessuti di fibre ottiche, come icone e simboli dell’esasperazione elettronica. Attorte eppure affilate, allungate da parete a parete e composte di fibra ottica, questi cinque multi-proiettori composti dalla fibra ottica riprendono le sperimentazioni passate e le proiezioni già realizzate per
horror vacui,
digital hide oppure per
other geologias. A vederle somigliano a molteplici foreste inesistenti, insediamenti sospesi di mangrovie industriali, zolle di cavi che, proprio come l’uomo di oggi, hanno cominciato a confondere le proprie radici con i loro stessi rami, i segnali della loro continua, confusissima crescita in espansione.
In un continuo andamento costante di
tangling, senza eccessivo disordine, un tramestio di cavi invade la galleria moltiplicando e umanizzando (quasi in maniera tridimensionale) l’identità degli spazi; effetto ottenuto grazie alle migliaia di immagini proiettate sui muri, in coincidenza con la fine dei cavi. Dai fasci di luce che attraversano le fibre vengono ricreati dei diorama umani, ragnatele composte da persone avviluppate e incastrate, a loro volta, da numerosi nidi di fili illuminanti.
Canogar, secondo uno stile, definito più volte come
barocco elettronico, pone un limite interno ben preciso al suo modo di operare nel e sul luogo ospitante le sue personali. È a causa infatti dell’esondazione di informazioni visive e della ricercata confusione tra rappresentazione e proiezione che lo spettatore riesce a perdere il senso dell’orientamento e del proprio significato nello spazio.
Queste graziose, fluttuanti isole di network in miniatura, appese all’aria, sono il risultato di un omaggio che l’artista ha studiato in onore delle
macchine per fantasmagorie create da Robertson. Lo scienziato belga divenne famoso in tutta Europa perché fu il primo, nel 1798, a creare spettacoli pubblici di proto-cinematografia attraverso la sinterizzazione delle immagini filtrate dalle lanterne magiche.
Allo stesso modo, Canogar scenarizza un paesaggio fantasma che attraversa e modella con incredibile capacità di sintesi la condizione di un uomo digitale che, ormai, concede i capricci delle proprie aspirazioni solo alla tecnologia dell’immagine.