Pochi lavori ben selezionati tengono lo sguardo dello spettatore incollato alle pareti, alla ricerca spassionata di una chiave di lettura. La vena narrativa è sempre latente nel dna di
Victor Burgin (Sheffield, 1941; vive a San Francisco), che questa volta ha preso in prestito protagonisti e storie da Shakespeare, Wilhelm Jensen, Freud e
Antonioni.
Le opere sono composte da più scatti mescolati a testi, scritti o ripresi: verbovisuale nella misura in cui l’immagine riesce, per dirla con Roland Barthes, a mantenere ancora la sua fascinazione, senza vincoli di subordinazione dalla parola. Il reagente che trasforma queste sequenze in storie è il dottor Freud. Non solo per il gioco delle libere associazioni, che rappresenta la struttura fisica del raccordo tra le immagini, ma per l’idea del sogno come rappresentazione dell’inconscio.
Il sogno come macchina che genera immagini non è una novità , ma Burgin lo applica in una chiave fenomenologica completamente diversa dalle avanguardie storiche, perché la sua è anzitutto una riflessione sul ruolo dell’arte nella società : non esistono un’arte politica e una responsabilità dell’artista, esiste invece una
response-ability (
John Cage dixit), un’“abilità di rispondere” dell’arte, di cui la politica è solo uno degli aspetti.
La lettura dei
Tales from Freud si risolve in un’esperienza allo stesso tempo soggettiva e condivisa dallo spettatore, il quale ritrova nella struttura delle opere il medesimo modo di sognare: deve accettare il fatto che quello che vede è
egli stesso. Solo così ha senso che in
Alle 8. Solito posto sia ripresa una piazza veneziana, ma venga raccontato il Monte Stella di Milano; e che, in
Gradiva, la diversità sessuale sia il filo conduttore delle forze della storia, attraverso il racconto romantico e paranoico dell’archeologo innamorato di una scultura di Pompei e dell’amica che fallisce nell’opera di redenzione.
Per lo stesso motivo, la
Portia del
Mercante di Venezia ha le sembianze di una dama di
Pietro Longhi in abiti carnevaleschi, gioco di finzione/identità /disvelamento e, in un’altra immagine, porge il modellino di un appartamento, evocando un committente medievale.
Infine, l’utopia socialista del villaggio di Villeneuve, in
Grenoble, viene letto attraverso un dipinto secentesco di
Claude Gellée, con straordinari rimandi strutturali e compositivi.