E’ davvero difficile pensare ad uno spazio espositivo adatto ad un artista come Alexander Calder (Lawton Pennsylvania 1898 – New York 1976). Perché le sue opere si nutrono dello spazio stesso. L’operazione migliore sembrerebbe allora quella di annullare completamente l’ambiente e l’allestimento, lasciando che le forme così caratteristiche delle sue sculture e delle sue installazioni, macchie di gioia e vitalità, si librino nell’aria con l’agilità che gli è propria. A questo si prestano bene le asettiche stanze della Galleria Giò Marconi, che in questi giorni ospita un “omaggio” all’artista.
La mostra si propone di riunire una ventina di opere provenienti dall’Estate Calder di New York, che dovrebbero risalire tutte agli anni Sessanta e Settanta. In realtà, nella prima sala, ove sono presentati tre mobiles e cinque stabiles, vi sono alcuni pezzi, tra i più belli (gli stabile “aperture”), datati 1956. Proprio questi danno lo spunto per una riflessione sulle coeve esperienze dello spazialismo italiano, soprattutto le sculture in ferro su steli di Lucio Fontana, così incredibilmente simili nelle forme a queste opere e ad altre più recenti, come The Poof, del 1973. Ma qui, come mai in Fontana, sono la forza esplosiva del colore, della gioia di vivere e del gioco a farla da padrone. Gioco e colore che rimangono protagonisti assoluti anche nella serie di gouache esposte nella seconda sala, realizzate tutte su cartone. I loro soggetti e temi rimandano infatti alle due settimane trascorse da Calder in un circo, tema che ritorna nell’arco di tutta la carriera dell’artista americano. Per la rivista National
Forse le opere si potevano allestire in un’unica sala, così da far colloquiare le forme delle gouaches con quelle delle sculture libere nell’aria, ricreando, in nuce, quell’atmosfera coinvolgente che ricorderà chi l’anno passato ha potuto visitare la mostra Calder- Mirò alla Fodazione Beyeler di Basilea.
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