Tuuumb! Tuuun! Toum, Tza Tza!. Un vortice di parole in libertà, recitate ad alta voce e proiettate sulla facciata di Palazzo Reale echeggiano rumorosamente, rimbombano, cambiano struttura, colore e dimensione, avvolgendo – talvolta disorientando – lo spettatore e conducendolo all’ingresso. Ma soltanto dopo aver oltrepassato il modello monumentale della scultura di
Giacomo Balla,
Linee-Forza del pugno di Boccioni.
È uno dei tributi più attesi al Futurismo, che ne mette in scena il vastissimo campo d’azione attraverso 500 opere tra dipinti, disegni, sculture, progetti architettonici, scenografie, costumi, letteratura, fotografia, ceramica, grafica e moda, per ricostruirne il percorso dalla fine dell’Ottocento agli anni ’30, e concludere con le generazioni successive che hanno celebrato la più rivoluzionaria avanguardia europea.
“
Non può sussistere pittura senza divisionismo”, confermano le prime opere, dove il moto coinvolge i corpi dilatandoli nello spazio e moltiplicandone le vibrazioni. Sono lavori di Balla, Boccioni,
Severini e Previati; dipinti proto-futuristi ottenuti con pennellate a piccoli tocchi o filamentose, che compenetrano oggetto e spazio in una sorta di connubio tra l’esasperazione espressionista munchiana e il puntinismo scientifico di
Seraut. Tra questi, carico d’ineguagliabile forza espressiva è
La pazza che intima il silenzio, di Balla, mentre appare come un manifesto di simbolismo e poesia
La maternità di
Gaetano Previati.
Una sezione dedicata a
Marinetti introduce il dinamismo plastico degli anni ‘10, ovvero l’esaltazione della macchina nell’era della civiltà industriale, che prevede simultaneità, compenetrazione dei piani e complementarismo congenito attraverso “
il moto e la luce che disgregano la materialità dei corpi”, come recita il
Secondo Manifesto. Non si possono non ricordare al proposito il
Cavaliere rosso di
Carlo Carrà,
I ritmi dell’archetto di Balla e la celeberrima scultura di
Umberto Boccioni,
Forme uniche della continuità nello spazio. Segue una sezione dedicata a disegni e progetti di
Antonio Sant’Elia.
Una serie d’
Intonarumori (gorgogliatori, ululatori, ronzatori, sibilatori ecc.), coi quali
Luigi Russolo debutta a Milano nel 1914, precedono la ricostruzione della scenografia meccanica di Balla,
Feu d’artifice, a suon di musica di Stravinskij per i balletti russi di Djiagilev. Tra il 1915 e il 1920, la ricostruzione futurista a opera di
Prampolini,
Depero e
Fillia sposta l’interesse dal dinamismo plastico a un mix tra cubismo sintetico e costruttivismo, che negli anni ‘30 confluisce nell’esaltazione del volo dell’aeropittura.
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Si giungerà presto a una nuova spiritualità plastica extra-terrestre”: lo credevano
Tullio Crali e
Gerardo Dottori, che propongono inquadrature a volo d’uccello distorte e surreali, come in
Dinamismo di mondi e
Incuneandosi nell’abitato.
L’eredità del Futurismo chiude l’esposizione con lo spazialismo di
Lucio Fontana, la poesia visiva di
Nanni Balestrini e le rievocazioni in tema di
Schifano. Una mostra, quella di Palazzo Reale, senza grandi lodi, che non esibisce i massimi capolavori del movimento futurista, ma che permette una visione globale, utile alla comprensione del movimento e dei suoi protagonisti ribelli e anticonformisti, fanatici del dinamismo e del moto universale. Pare ancora di sentir urlare a gran voce: “
Ritti su la cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!”.
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bella recensione!:)