Libere e aperte ad un’instabile compiutezza, le figure disegnate sulle tele di Rudi Wach (Hall, 1934) dialogano serratamente con le forme architettoniche che scandiscono gli spazi della galleria. Immagini in bilico tra umano e animalesco diventano il simbolo dell’assoluto naturale, e incarnano la perenne instabilità tra spirito e corpo, anima e carne, civiltà e inciviltà, coscienza e non coscienza. Gli opposti tornano, ogni volta, a contendersi la stessa figura. Istinto o ragione? Il paradosso è il cardine nella nostra cultura: l’animalità è lontana da noi ma è anche felicemente, o paurosamente, prossima. In Non voglio la luce sulla testa sembra vincere l’istinto animale. La trama dell’opera e la stratificazione delle linee e delle superfici concorrono a determinare l’intensa volumetria della testa, animale, che si contrappone con veemenza all’esilità e fragilità delle gambe, umane. Dal corpo giacente, si volta bruscamente la testa della belva che lancia la secca invettiva.
All’interno dei lavori il gioco delle membra in torsione è portato all’estremo, sia tramite forzature proporzionali delle parti, sia da un chiaroscuro che rende dinamica e viva la struttura. Le superfici emanano un notevole effetto di vibrazione ottica che si effonde in tutto l’ambiente e ci investe. I corpi sono connotati da una monumentalità “naturale” e allo stesso tempo inconsistente, valorizzata da una struttura anatomica increspata e trasparente. Le figure sono colte come da uno scatto fotografico, e quella precisa posizione è solo una permanenza momentanea. Lì galleggiano, tra umano e animale, perdendo la loro connotazione genetica: una condizione esasperata dagli effetti luministici e dalla modulazione meticolosa dei diversi tratti, sfumati con la gomma.
La loro metaforica danza, in contrasto con la monumentalità, ha un ritmo leggero ed etereo, quasi fossero inconsistenti. In Non so dove sono un corpo si libra volteggiando nello spazio, e proprio il titolo dell’opera cela uno degli infiniti stadi del divenire. Sono corpi armoniosi, ma dalle loro viscere esce un richiamo convulso e drammatico: non c’è tensione, ma ricerca. Si divincolano sulla tela alla ricerca di un equilibrio, bloccati per un istante sulla superficie e nascosti nello spazio espositivo che li ospita, come in un grande embrione.
silvia criara
mostra visitata il 26 maggio 2006
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