“Le mie passioni sono tre: i quadri, quelli, s’intende, che piacciono a me, le lettere di Leopardi, le lettere di Mozart”. Possiamo quasi immaginare Arturo Toscanini (Parma, 1867 – Riverdale, 1957) scuotere lentamente ma con decisione la testa di fronte ad un’opera che non gradiva e invece accogliere con entusiasmo un quadro che fosse in sintonia con il suo modo di intendere l’arte. Come la musica, la pittura doveva essere capace di suscitare ricordi ed emozioni.
Il Maestro mosse i primi passi da collezionista sotto l’occhio vigile di Vittore Grubicy De Dragon, mercante e pittore, figura complessa della Milano fin de siècle attratto dal divisionismo, pittore divisionista lui stesso. Le ore trascorse con Grubicy a conversare di musica e pittura favorirono in Toscanini la nascita della passione per il collezionismo, il desiderio di possedere quadri per assaporarne ogni giorno la bellezza. Negli anni raccolse un’ampia collezione, circa centocinquanta opere tra pitture e sculture. Una raccolta composita, per alcuni aspetti eterogenea proprio perché fondata su un criterio quanto mai soggettivo, il gusto personalissimo e deciso del suo intransigente proprietario. Incentrata sull’arte italiana tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX, la collezione riuniva opere divisioniste e macchiaiole con incursioni nel realismo e fino all’art nouveau (in mostra l’eccentrico ritratto della figlia Wally dipinto da Alberto Martini). Mai Toscanini si lascerà attrarre dalle avanguardie che stavano rivoluzionando la pittura del Novecento. Il suo rimarrà il
La mostra presenta una trentina di opere di quella che fu la collezione Toscanini, dispersa negli anni successivi alla sua scomparsa e dunque ricostruibile solo su carta inseguendo -come ha fatto la curatrice Elisabetta Palminteri Matteucci- attraverso lettere e documenti il progressivo formarsi della raccolta.
Il percorso espositivo si apre con una sezione documentaria, lettere, fotografie e ritratti che quasi ignorano Toscanini direttore d’orchestra per presentarlo in una veste più privata che sia d’introduzione alla sua collezione d’arte. Sulle candide pareti della Fondazione -nelle sale non poteva mancare un lieve sottofondo musicale- risaltano le cornici dorate dei dipinti in un’ambientazione forse diversa da quella che li ospitava in casa Toscanini ma non priva di fascino perché lascia la parola soltanto alla pittura mai sovrastata dall’ambiente che la accoglie.
Numeroso il nucleo delle opere di Grubicy, caratterizzate da una pennellata frantumata, un’infinità di piccoli tocchi che compongono l’immagine e creano atmosfere brumose e nebbie cangianti. I colori smaltati di Pastura in montagna (Raffaele Sernesi), l’atmosfera onirica di L’ultima battuta del giorno che muore (Grubicy), la semplice poesia di Sera di maggio (ancora Grubicy), la sottile malinconia di L’Arno alla Casaccia (Giuseppe Abbati) sono le tessere che compongono come in un mosaico la fisionomia del collezionista Toscanini.
Imperdibili due tele di Telemaco Signorini La toilette del mattino e La piazzetta di Settignano in un giorno di pioggia. E’ noto che Toscanini-Direttore era rigorosissimo, attento ai minimi particolari; e proprio i particolari rendono le due opere di Signorini impressioni fresche e vive, il sottile fascio di luce che filtra dalla persiana socchiusa sul fondo della stanza nella Toilette, le nubi grigie sul cielo di Settignano che diradandosi lasciano intravedere sprazzi di azzurro, il selciato della piazza ancora lucido di pioggia.
Doveva essere un incanto la casa di Toscanini, con le pareti tappezzate di dipinti al punto che –lo racconta il nipote Walfredo- “la concentrazione più sorprendente si trovava in un ampio corridoio […] e lì i quadri, illuminati dalla luce naturale, erano appesi a circa un metro dal pavimento fino al soffitto, in file verticali, ricoprendo interamente le pareti”.
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antonella bicci
visitata il 18 maggio 2007
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