Se
nelle precedenti opere di
Massimo Kaufmann (Milano, 1963) la dimensione estetica si spingeva oltre il dominio
del visivo, giungendo a stimolare anche l’ambito del tattile, ora è proprio
quest’ultimo a rivestire un ruolo centrale in questa nuova serie di lavori.
La
ricerca dell’artista parte dal presupposto che il flusso continuo e incessante
di immagini cui siamo quotidianamente sottoposti comporta serie conseguenze
sulle nostre capacità percettive, che risultano alterate e indebolite. La
straordinaria quantità di sollecitazioni visive che vengono continuamente
prodotte e condotte alla nostra attenzione ha minato la qualità dei nostri atti
percettivi, ci ha reso ciechi, incapaci di comprendere un’immagine nei suoi
aspetti più profondi.
Kaufmann,
a partire da queste riflessioni, prende atto della situazione e realizza una
serie di opere ricorrendo alla pratica della punteggiatura, ispirandosi
all’alfabeto Braille, utilizzato dalle persone affette da cecità.
Ad
eccezione di un unico, colorato e semplicistico lavoro, che esibisce una certa
superficialità, la gamma cromatica utilizzata è ridotta notevolmente a uno
spettro di colori che dal bianco si avvicina al nero, attraversando le
sfumature del grigio. L
a punteggiatura si riversa su quasi tutta la superficie
dell’opera: in alcuni casi partecipa attivamente alla costruzione
dell’immagine, come suo elemento costitutivo, in altri sembra quasi esercitare
una funzione di schermo fra lo spettatore e lo sfondo su cui si staglia.
Queste
opere di Kaufmann non vanno lette come una semplice e rinunciataria presa
d’atto della distorta e superficiale relazione che l’uomo contemporaneo
intrattiene con le immagini, ma come una reazione a tale condizione, come un
tentativo di muoversi in una direzione capace di condurlo al di fuori di questo
stato di cecità che lo pervade. L’occhio dello spettatore è sfidato a dar vita
a una percezione più consapevole, a un’indagine sull’immagine più profonda, che
lo chiama a una partecipazione attiva, ponendosi alla sua contemplazione in
maniera incisiva.
Tuttavia,
proprio perché alcune opere raggiungono questo risultato, spiace constatare la
distanza che separa quanto proclamato nella presentazione della mostra dalle
concrete realizzazioni dell’artista. Si parla di una crisi della
rappresentazione, quando a essere al centro è la crisi della percezione, e il
problema affrontato non investe la produzione vera e propria delle immagini, ma
la loro percezione ed è, seguendo il ragionamento compiuto da Kaufmann, di una
crisi di quest’ultima che si dovrebbe parlare.
Inoltre,
risulta eccessivo parlare di nuovi canoni estetici, basati su di una lettura
tattile, poiché il riferimento al Braille è in realtà più sfumato e costituisce
un’ispirazione capace di spiazzare lo spettatore, e non, almeno per ora, la
base di un vero e proprio nuovo linguaggio rappresentativo.