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02
dicembre 2009
Si potrebbe pensare di essere in un museo della scienza,
se non fosse per lo studiato rigore dello spazio bianco, attraversato da una
fertile sponda nera, che percorre la luminosa galleria. E per l’estrosità di un
grande trittico che colpisce lo sguardo del visitatore: un’opera di grandi
dimensioni che lo accompagna, con la sua forte presenza, per tutta la durata
della visita.
È la mostra di Paolo Chiasera (Bologna 1978; vive a Bologna e
Berlino), raffinato intellettuale che utilizza la dimensione artistica per
raccontare il pensiero filosofico, la scienza, la sua visione del mondo. A
ispirarlo è il fallito progetto del matematico e filosofo Charles Babbage di un
calcolatore programmabile.
Sulla prima grande parete bianca, un piccolo ritratto,
figura ambigua che permette di vedere due volti. Quello di Robert Peel e di
Lady Lovelace, entrambi sostenitori del progetto di Babbage. Ed è la mente a
disegnare in alternanza i due volti, in base alla selezione che l’occhio fa dei
particolari. Un quadro che dialoga con una macchia nera sulla parete bianca:
tre punte verso l’alto come spade e il nero scivola via, per gocciolare sul
pavimento. Simbolo, forse, del percorso travagliato e difficile d’ogni
creazione.
Ci sono pure tre grandi lavori su carta a china, i
passaggi delle macchine dello scienziato britannico, laddove i chiaroscuri
dell’inchiostro sembrano voler investigare la forza misteriosa che muove la
ricerca, e raccontano l’ansia che unisce la storia al presente dell’artista. Al
centro della sala, una bacheca su un elegante tavolo in legno chiaro contiene La
misura dell’errore.
Un simbolico metro degli errori progettuali e un libro che documenta gli
scarti, attraverso fotografie. Ma non è dato di vederli: occorre crederci, come
quando si racconta ai bambini una storia fantastica e tutto sembra vero.
Approach to Identity è il titolo del grande trittico che dà il
benvenuto: la parola ‘oblio’, ricavata dalla scalfittura della vernice nera
“sprayata” e gocciolante sulla parete, nasconde i tre aspetti dello sviluppo
progettuale, come gli occhi sotto le ciglia, svelati solo da un’attenta
osservazione. Altrove, un albero grosso e contorto, un castagno a china, è
simbolo dell’abbandono di una tecnica, di materiale non più usato per costruire
mobili: a indicare il passaggio da una fase all’altra, una diversificazione di
elementi che poggiano sul concetto di trasformazione e sul percorso
dell’errore.
Un cammino, quello della storia come quello dell’artista,
che stabilisce i diversi livelli della creazione. Tempi e passaggi che Chiasera
scandisce anche quando crea in legno la macchina del matematico: sorpresa della
seconda sala, scultura in legno che diviene cassa armonica per diffondere le
note di una melodia. Un altare che accoglie un cervello fatto di legni, a
sottolineare lo sforzo mentale che la genesi di un’opera richiede.
E la replica del quadro con i due mecenati: ora non più
figura ambigua, come l’autore avrebbe voluto. A conferma della possibilità
dell’errore, come sfida e traguardo.
se non fosse per lo studiato rigore dello spazio bianco, attraversato da una
fertile sponda nera, che percorre la luminosa galleria. E per l’estrosità di un
grande trittico che colpisce lo sguardo del visitatore: un’opera di grandi
dimensioni che lo accompagna, con la sua forte presenza, per tutta la durata
della visita.
È la mostra di Paolo Chiasera (Bologna 1978; vive a Bologna e
Berlino), raffinato intellettuale che utilizza la dimensione artistica per
raccontare il pensiero filosofico, la scienza, la sua visione del mondo. A
ispirarlo è il fallito progetto del matematico e filosofo Charles Babbage di un
calcolatore programmabile.
Sulla prima grande parete bianca, un piccolo ritratto,
figura ambigua che permette di vedere due volti. Quello di Robert Peel e di
Lady Lovelace, entrambi sostenitori del progetto di Babbage. Ed è la mente a
disegnare in alternanza i due volti, in base alla selezione che l’occhio fa dei
particolari. Un quadro che dialoga con una macchia nera sulla parete bianca:
tre punte verso l’alto come spade e il nero scivola via, per gocciolare sul
pavimento. Simbolo, forse, del percorso travagliato e difficile d’ogni
creazione.
Ci sono pure tre grandi lavori su carta a china, i
passaggi delle macchine dello scienziato britannico, laddove i chiaroscuri
dell’inchiostro sembrano voler investigare la forza misteriosa che muove la
ricerca, e raccontano l’ansia che unisce la storia al presente dell’artista. Al
centro della sala, una bacheca su un elegante tavolo in legno chiaro contiene La
misura dell’errore.
Un simbolico metro degli errori progettuali e un libro che documenta gli
scarti, attraverso fotografie. Ma non è dato di vederli: occorre crederci, come
quando si racconta ai bambini una storia fantastica e tutto sembra vero.
Approach to Identity è il titolo del grande trittico che dà il
benvenuto: la parola ‘oblio’, ricavata dalla scalfittura della vernice nera
“sprayata” e gocciolante sulla parete, nasconde i tre aspetti dello sviluppo
progettuale, come gli occhi sotto le ciglia, svelati solo da un’attenta
osservazione. Altrove, un albero grosso e contorto, un castagno a china, è
simbolo dell’abbandono di una tecnica, di materiale non più usato per costruire
mobili: a indicare il passaggio da una fase all’altra, una diversificazione di
elementi che poggiano sul concetto di trasformazione e sul percorso
dell’errore.
Un cammino, quello della storia come quello dell’artista,
che stabilisce i diversi livelli della creazione. Tempi e passaggi che Chiasera
scandisce anche quando crea in legno la macchina del matematico: sorpresa della
seconda sala, scultura in legno che diviene cassa armonica per diffondere le
note di una melodia. Un altare che accoglie un cervello fatto di legni, a
sottolineare lo sforzo mentale che la genesi di un’opera richiede.
E la replica del quadro con i due mecenati: ora non più
figura ambigua, come l’autore avrebbe voluto. A conferma della possibilità
dell’errore, come sfida e traguardo.
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Chiasera da Minini, Massimo
cecilia ci
mostra visitata il 18 novembre 2009
dal 12 novembre 2009 al 9 gennaio 2010
Paolo Chiasera – Hybris
Galleria Francesca Minini
Via Massimiano, 25 (zona Ventura) – 20134 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 11-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 0226924671; fax +39 0221596402; info@francescaminini.it; www.francescaminini.it
[exibart]
Chiasera rappresenta la quinta essenza di quello che chiamo “turismo creativo”. E quindi un atteggiamento artistico che porta da un buona trovata a quell’altra senza la definizione e lo sviluppo di un’urgenza specifica di fondo. A partire dai tempi della prima personale presso la Galleria Massimo Minini nel 2001, ha sperimentato tutto e il contrario di tutto con l’ unica urgenza di seguire una sentire comune, vago ed indefinito.
Vediamo lo sviluppo di una sorta di artigianato ruffiano, una sorta di ikea evoluta. Ma cosa c’entra con i giovani dittatori, con la prima personale presso la Galleria Massimo Minini, con gli acquerelli di Van Gogh e la mostra al MACRO? Non basta sostenere e citare importanti figure della storia, per poi sviluppare diverse soluzioni formali attraverso modalità diversificate. Questo relativismo mi pare paralizzante. Allora scegliamo il tema: la religione. Cerchiamo qualche personaggio storico che ha sviluppato una sua setta personale. Rendiamo il loro simbolo tridimensionale e in legno. Bruciamolo e con le ceneri facciamo il ritratto del volto di questo personaggio. E’ tutto troppo facile. In questo modo siamo fermi.
dal comunicato stampa: “ll fallimentare tentativo di Charles Babbage di costruire una macchina per il calcolo diventa l’incipit del processo immaginativo di Chiasera che fa dell’imperfezione, dell’errore, un momento fondamentale per lo sviliuppo del progetto di mostra. L’errore e’ parte costitutiva, generativa dell’opera, il processo creativo sembra nutrirsi continuamente delle sue stesse rovine. E’ l’imperfezione della macchina di Babbage, nel progetto dell’artista, a porre le basi della sua deriva poetica”
Queste sono le medesime basi su cui si fonda il lavoro di 1000 altri artisti (es. trevisani). Durante gli anni 90 e non solo. Fallimento,imprecisione ed errore come stati positivi e generativi. Non ne possiamo più. Forse queste cose affascinano un collezionista milanese che arriva in galleria stressato e frastornato da una giornata di lavoro.
“In ultimo la terza carta suggerisce il processo di analogia, lo sviluppo di un pensiero associativo che ha portato l’artista a modificare la destinazione d’uso della macchina di Babbage”
Va bene, ma siamo sempre lì. Mi sembra che al momento ci sia un esercito di artisti similari. Ben inteso: ottimi artigiani del contemporaneo. Bravissimi nello sviluppare una retorica concettuale e formale dell’oggetto. Ma nel 2009, dopo un secolo così ingombrante come il 900, risulta tutto stucchevole. Perchè parificabile ad un burocrazia della creatività. Allora è più interessante, perchè più vera, la burocrazia vera.
Caro Luca Rossi trovo le tue osservazioni erronee in quanto nella pratica di Chiasera riscontro non un procedere binario ma semmai un continuo incedere nella direzione della ricerca e della sperimentazione del linguaggio dell’ arte. In un epoca che fonda le sue prerogative su un lungo addio del secolo breve è proprio nella fusione tra prerogative novecentesche e tensioni contemporanee che trovo assolutamente interessante il lavoro degli artisti e di Chiasera in particolare. La mostra mi è sembrata molto ben strutturata, assolutamente autonoma rispetto alle pippe neoconcettuali che si vedono in giro di questi tempi.
Chiasera è un artista che ha sviluppato un suo linguaggio (o come diresti tu che passi i tuoi pomeriggi all’Ikea insieme ai galleristi stressati “marchio di fabbrica”) maturo, la sua riconoscibilità non equivale a una riproducibilità di un’idea all’interno di un’economia di scala, di un’Ikea, anche se evoluta. Chiasera non è a mio modo di vedere un’artista che si lascia inquadrare in una di quelle caselle rassicuranti, “gli artisti degli anni 90”, gli “ottimi artigiani del contemporaneo”. Chiasera è Chiasera e ha dimostrato di saper sempre superare il Chiasera precedente senza mai tradirlo. Personalmente trovo di grande interesse il suo lavoro di traduzione, fedele all’etimo latino, Chiasera conduce i suoi materiali da una dimensione ad un’altra, da una forma a un’altra, da un’epoca gloriosa e utopica alla mediocrità contemporanea. L’errore di cui parla il sedicente Luca Rossi è solo un’infinitesima parte del lavoro di Chiasera. La sua capacità di fondere il pensiero e l’arte del Novecento in un’arte coerente e intransigente ha trovato una nuova conferma nella sua ultima personale milanese. Consiglio a Luca Rossi di abbandonare per sempre lo pseudonimo con cui sputa sentenze nonché il suo concetto di democrazia, in senso hobbesiano, ovvero demagogia.
complimenti all’artista
Paolo Chiasera e’ un giovane di buona famiglia che vuole fare a tutti i costi il giovane artista. Ciò e’ apprezzabile ma il suo lavoro e’ interessante nella misura in cui corrisponde ad un rassicurante artigianato contemporaneo. Come in mti artisti giovani attuali non c’è ricerca ma un compiacimento formale e concettuale che sparisce se paragonato all’ arte del 900. Quello che ha fatto lo deve a massimo minini che lo scelse e ormai non può più cambiare idea visto che ha messo alcune sue opere in importanti trattative di becroft. I collezionisti non la prenderebbero bene. Tanto e’ vero che fa mostre rimpallato da Francesca a massimo e al macro di Roma come condizio sine qua (suggerita da minini) per la partecipazione di garutti (anche lui artista di minini). Detto questo il suo lavoro e’ anche piacevole, proprio perché ci vedi ottimizzato quello che gia’ conosci: un facile artigianato. Dobbiamo andare oltre! Sveglia!
caro Luca Rossi,
Chiasera aldilà della sua posizione familiare ( che personalmente non conosco) gioca un ruolo importante nel definire quelli che possono essere delle direttive in un periodo di crisi della storia che essendo tu cosi ferrato in materia ( di crisi intendo…visto che passi le ore a sputtanare gli altri dall’ alto del tuo ” personaggio sacrificale”) dovresti conoscere.
La crisi della storia è uno dei punti su cui si fonda la cultura contemporanea vissuta e smagata nell’ aura del post/neo/alter/sur…. eccetera eccetera.
Posso permettermi di ricordarti che un personaggino come Nicolas Burriaud ha appena scritto una riflessione che entra sotto il nome di altermodern per definire le pratiche artistiche contemporanee piu’ convincenti.
Se Minini piazza Chiasera con Beecroft mi sento di dire “buon per lui” in quanto ha trovato un galleria che sa fare il suo lavoro….o preferisci i galleristi che pensano solo a te mio artista sconosciuto….incompreso e soprattutto tanto tanto tanto attento al pelo nell’ uovo.
—
dai “luca rossi” fai uscire tutta la tua romanità!!!