In ogni cultura câè un legame colore/simbolo che tutto il
contesto sociale riconosce. Ă soprattutto negli stendardi, nelle bandiere,
nelle divise che il colore rappresenta un nome, una famiglia, uno stato,
unâidea religiosa o politica.
Sulla forza simbolica del colore insistono
Yelena
Vorobyeva (Nebit-Dag,
1959; vive ad Alma Ata) e
Viktor Vorobyev (Pavlodar, 1959; vie ad Alma Ata), artisti kazaki
che lavorano in coppia ormai da anni, presenti al Padiglione Asia Centrale
della Biennale questâanno e nel 2005.
Con
Kazakhstan. Blu period i due artisti ci conducono in un
viaggio fotografico attraverso la realtĂ del loro paese, nellâepoca dellâindipendenza
politica post-Unione Sovietica. Dopo la conquista dellâindipendenza, il
Kazakistan ha infatti issato, il 4 giugno 1992, la sua nuova bandiera: un campo
azzurro cielo con unâaquila della steppa posta sotto un sole dorato con 33
raggi al centro e un ornamento decorativo nazionale lungo il lato del pennone.
Lo sfondo azzurro rappresenta i vari popoli turchi che compongono la
popolazione odierna, compresi tartari, mongoli, uiguri e altri.
Per questi popoli, sin dallâantichitĂ lâazzurro ha un
significato religioso: rappresenta il dio del cielo GĂśk-Tanry, âlâeterno vasto
cielo bluâ. Unâinterpretazione piĂš moderna vuole invece che simboleggi i vasti
cieli del Kazakistan e la libertĂ . Abusato e ostentato, il colore blu compare
oggi in Kazakistan su ogni superficie, oggetto, vessillo.
Dimenticato il rosso che faceva da sfondo alla bandiera
sovietica, il blu domina su bandiere, porte, recinzioni, cupole, tetti. Neanche
le lapidi dei cimiteri sono state risparmiate da questâaggressione cromatica,
che Yelena Vorobyeva e Viktor Vorobyev documentano meticolosamente nel loro
reportage fotografico, non senza una certa ironia.
Il blu del cielo kazako ritorna nei lightbox che
accompagnano la serie fotografica. In
Bijoux for the sky, lâazzurro diventa superficie
pittorica sulla quale gli artisti disegnano veri e propri gioielli fatti di
semplici luminarie che rimangono sospese in maniera irreale nel cielo, come
ricami geometrici su una tela. La serie di sculture
Pietrifications riporta invece dal cielo alla
terra. Un ferro da stiro pietrificato, un cellulare, una teiera e una lampadina
diventano reperti archeologici che testimoniano del nostro presente, in un
futuro irreale e fantastico.
In una società del consumo come la nostra in cui tutto è
soggetto a usura, diventa rifiuto da espellere e cancellare,
Pietrifications dimostra invece come anche gli
oggetti dâuso quotidiano possano sfuggire alla distruzione consumistica e
divenire âimmortaliâ.
Un lavoro figlio di una mentalitĂ , quella centro-asiatica,
dove anche lâoggetto tecnologico viene ironicamente concepito come un dono
della natura. E negli scatti che accompagnano le sculture, gli oggetti tornano a
confondersi con un territorio arcaico e intatto, in una vera e propria simulazione
archeologica che dona nuove possibilitĂ anche agli scarti della nostra societĂ .