La mostra
Doors to Thought nasce da un’idea di
Albano Morandi (Salò, 1958). Accanto ai suoi lavori, l’artista presenta quelli di quattro amici-colleghi:
Lucio Pozzi (Milano, 1935),
Tomas Rajlich (Jancov, 1940),
Antonio Giacometti (Brescia, 1957) e
Vincenzo Cecchini (Cattolica, 1934). Il rapporto umano, oltre che professionale, che li lega fa del progetto di Morandi una riflessione sulla “
propria educazione sentimentale all’arte”. Le opere si offrono al pubblico, entrano in relazione con lo spazio della galleria e tra loro, creando un dialogo che fa da filo rosso tra le sale in cui sono presentati i singoli artisti e altre dove ognuno di essi entra in diretto rapporto con Morandi.
Gli artisti esposti sono diversi per età anagrafica, tipologia di opere, materiali usati: la colla e l’olio che compongono i monocromi di Cecchini, le composizioni musicali di Giacometti, gli acrilici e le sculture in ottone di Pozzi, ancora i monocromi, questa volta senza titolo e dipinti ad acrilico, del ceco Rajlich. Su tutti è la personalità di Morandi a svolgere una funzione unificante: lo fa attraverso le tele “dipinte” con nastro adesivo e cera, nelle quali ripete la stessa combinazione di colori, quasi come si trattasse di un monocromo; con le sculture-assemblaggi formate da diversi materiali, tra i quali il vuoto (lo stesso che riempie Giacometti con la sua musica).
Ma ciò che rende davvero coesa la scelta di esporre insieme questi artisti è la presenza di un rapporto profondamente umano fra di essi.
Visitare la mostra è come assistere a un dialogo tra vecchi amici, ognuno dei quali ha un proprio percorso, un proprio punto di arrivo momentaneo, una propria apertura al divenire. Tele, sculture e carte si relazionano in modo dialettico, proponendo un confronto sul pensiero dei singoli artisti e sui loro punti di contatto o distacco. Alcune opere sono unite da un comune modo di sentire, altre dalla coerenza stilistica, provata dalla realizzazione di dittici, altre ancora sono frutto di una collaborazione diretta fra gli artisti.
La musica di Giacometti, un pezzo jazz ispirato alle poesie di Beckett, fa da sottofondo a un percorso che conduce il visitatore da una sala all’altra, attraverso quelle “porte del pensiero” che danno il titolo alla mostra. L’ultima opera è visibile solo in catalogo: si tratta di una conversazione fra il curatore della mostra, Alberto Zanchetta, e Roberto Peccolo, un altro amico, un altro compagno di strada degli artisti presentati. Un’ulteriore “porta” che invita a una riflessione più generale sulla critica, l’arte e il lavoro dei protagonisti che partecipano al progetto.