L’installazione modifica in modo funzionale lo spazio arricchendolo di una dimensione accogliente e intima. Tra le pareti ricreate di un salotto borghese, sei televisori trasmettono senza interruzione immagini sincroniche. Figure stilizzatissime attendono sugli schermi alle proprie faccende domestiche.
Arte e vita sono le parole d’ordine del lavoro di Elena Arzuffi (Bergamo, 1965), che investe la pratica artistica di un compito sociale: quello di digerire l’esistenza restituendone le ansie nascoste e i bisogni quotidiani. Protagonisti assoluti dei video sono i disegni che l’artista stessa realizza e anima sovrapponendovi fogli di carta da lucido che sfumano i movimenti dei personaggi. Una tecnica artigianale che viene alternata, in fase di montaggio, a riprese video scolorite e sgranate, che spezzano il ritmo della narrazione. Alberi ed elementi del paesaggio urbano mossi dal vento spostano lo sguardo dello spettatore dalla dimensione domestica a quella esterna. Questo soffio d’aria (lo spiffero che intitola la mostra), che attraversa lo spazio bidimensionale del disegno, lo trasfigura stracciandolo, per mostrare all’improvviso la cruda realtà . La forza espressiva è tutta affidata a questo irrompere inaspettato dell’incerta provvisorietà del mondo fuori. “È un pò come guardare fuori dalla propria finestra”, dice l’artista. “La nostra intimità improvvisamente si mescola a quella anonima di chi ci vive di fronte, ciò che vediamo ci incanta, eppure sono solo immagini di routine, lo scenario di sempre, i gesti di persone sconosciute di cui non riusciremo mai a ricomporre la storia”.
Per Elena Arzuffi fare arte sta nella capacità di trasmettere attraverso questi elementi appena accennati emozioni riconoscibili, al limite del banale. Le radici di questa ricerca risalgono al 1999, quando scattava fotografie che poi intrappolava in piccoli light box. Nel suo repertorio elementi casuali e preordinati si mescolavano di continuo.
Ai fotogrammi televisivi sovrapponeva immagini intime, create su misura con veri e propri teatrini di pupazzi e case di bambole. Contemporaneamente arrivavano i primi video. Attraverso la moltiplicazione dei mezzi espressivi, frutto di una riflessione sistematica sugli strumenti del fare artistico, la Arzuffi muove la sua forza creativa e di pensiero ad investigare la centralità della relazione umana in una società sempre più sorda al sentire comune.
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