Lo spazio non è soltanto lo scenario in cui l’azione si svolge. Oltre alle tonalità emotive e ai ricordi personali con cui lo connotiamo, qualunque luogo ha proprie tensioni e atmosfere autonome; una realtà formale che ha altri tempi e durate rispetto a quelli della storia che vi accade all’interno.
Daniele Puppi (Pordenone, 1970) si occupa da oltre un decennio di accentuarne la visibilità e l’emozione, confrontandosi direttamente con lo spazio attraverso il video, in modo che l’azione ripetuta del proprio corpo lo contenga e sia contenuta da esso, nello stesso tempo, aderendovi completamente.
La mostra all’Hangar Bicocca appare punto di arrivo e di partenza, probabile momento di consacrazione della sua maturità artistica e inizio di un anno di prestigiose mostre, con Londra e Roma ad attenderlo dopo Milano. Anche in questa nuova
Fatica è lo spazio il protagonista. L’Hangar è un vecchio edificio industriale che ha mantenuto l’imponente eredità formale in volumetrie, shed, mattoni e lamiere, che l’artista ha voluto rispettare completamente. Ne ha studiato le linee di forza, i materiali e le timbriche di diffusione sonora per “
farne esplodere”, come l’artista stesso dichiara, le tensioni spaziali e sonore a esso connaturate.
La video installazione occupa completamente la parete opposta all’entrata. L’inquadratura riprende il busto dell’artista e sfrutta l’andamento delle tre navate, dividendo la parete-schermo in tre sezioni. Sulle due laterali si agitano le braccia che muovono piatti a percussione. Quella centrale inquadra la maglietta nera dell’artista e rimane in ombra, tranne quando i due piatti si scontrano l’uno contro l’altro. Nel momento in cui si diffonde l’assordante battito accompagnato dall’eco metallica delle lamiere, su alcuni shed, a diverse altezze, sono proiettati frammenti dell’immagine, dando un’illusione tridimensionale. Dopo il battito le braccia tornano a muoversi sugli schermi laterali, per poi ritornare a scagliare i piatti l’uno contro l’altro, in un movimento continuo.
Fatica 16 riesce a riempire lo spazio senza aggiungervi nulla al di fuori dei sette proiettori, ma non solo. Impone anche allo spettatore di non inoltrarsi eccessivamente al suo interno. L’illusione della tridimensionalità è infatti percepibile soltanto grazie alla prospettiva che si ha centralmente fino a pochi metri dall’ingresso. Come se l’opera saturasse completamente lo spazio, impedendovi l’accesso. Oppure, come se lo rendesse luogo sacro e inviolabile, confinando lo spettatore in una sorta di pronao antistante. La ripetizione dei gesti è funzionale al rapporto di simbiosi che l’artista vuole avere con lo spazio, rifiutando perciò la linearità di un tempo narrativo, che abbia inizio e fine.
Le
Fatiche di Puppi danno suono e movimento allo spazio, ma ne vogliono mantenere l’aspetto permanente e immediato, fuori dal tempo della storia, come e meglio delle
Music for Airports di
Brian Eno. Pretendono modalità di percezione che non abbiano la linearità del racconto, ma l’aspetto puntiforme della visione, le possibilità di durata dell’architettura e la pienezza senza tempo del rito.
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un epigono di Cattelan (e quindi di Boetti e di De Dominicis) di terza categoria...
lavoro vecchio
Ma che cazzo dite? Ma l'avete vista la mostra?
Ho visto tutte le mostre all’Hangarbicocca, dalle torri di Kiefer in poi. La più straordinaria e non sono l'unico a dirlo, è senza dubbio la mostra di Puppi. Incredibile quello che è riuscito a fare in quello spazio enorme. Peccato sia durata solo un mese o poco più.
il titolo "Fatica"mi piace e anche se non ho visto il lavoro dal vivo mi sembracomunque interessante, gigantografie giusto??