Tutti gli elementi di un set teatrale: le strumentazioni
sonore – grammofoni dal raffinato design
démodé – e il loro posizionamento ben
orchestrato su piedistalli che li trasformano in ready made prima maniera,
l’illuminazione che li incornicia, e tutt’intorno la scenografia di linee
sinuose incise a matita.
A chi visita la mostra manca un solo elemento per
completare la scena: il suono. Era presente la sera dell’inaugurazione, quando
Margarita
Gluzberg (Mosca,
1968; vive a Londra),
alla prima personale in Italia, è intervenuta a chiudere
la quadratura con la performance musicale
The Captive Bird Society, edizione milanese di un’idea già
apparsa in diverse città europee nel 2009.
La colonna sonora, progettata in
pendant con la produzione disegnativa,
attinge dalle sperimentazioni effettuate nel 1910 da
Carl Reich sulla registrazione degli uccelli
tenuti in cattività nella propria voliera di Brema. Collezionista di vinili
originali prodotti dall’apripista tedesco del genere, l’artista improvvisa
composizioni sonore attraverso il canto incrociato di volatili e antichi
walzer. L’intento non è solo estetico, sebbene il richiamo stilistico tra
componenti oggettuali, sonore e grafiche sia profondamente armonioso.
Insistente in sordina una valutazione socio-culturale che ruota attorno al
concetto di “cattura”, disteso a vari livelli di significati e implicazioni.
Gluzberg stessa nomina i suoi complessi musicali
The
apparatus of capture,
intendendo il potere attrattivo che hanno sul fruitore, e più che assonante
diventa quasi provocatorio il fatto che sia proprio il canto di animali
prigionieri a impossessarsi dell’attenzione dell’ascoltatore.
E cattura anche come condizionamento, come il cambiamento
nelle modalità canore degli usignoli di Reich dopo l’ascolto dei canarini, come
l’imposizione che subiamo a opera dei meccanismi economici e ideologici della
moda.
Ambito di ricerca privilegiato, l’universo della
haute couture si fa portatore di valori visivi
che vanno a incidere su modi e forme artistiche.
L’occasione della personale a Milano apre alla creazione
di opere site specific nate dalla fascinazione per la particolare linea
espressiva colta dalla visita presso l’atelier Missoni. La texture grafica
della grande casa di moda costituisce un gioco lineare ideale su cui posare
forme sinuose di donne, sempre costruite sul richiamo a moduli circolari:
dischi in vinile, elementi base della performance, tornano a delineare natiche,
seni, teste.
Incise fino a trasformare la grafite in superficie serica
le grandi capigliature dal gusto
retrò,
oltre a costituire un preciso riferimento a un epoca
storica – come recita il titolo
From Hairstyles of the Great Depression – dagli stretti rapporti con la
nostra, si pongono senza dubbio come la produzione più affascinante della
serie. Dall’uso sapiente di matita e gomma ne derivano scintillanti fasci di
capelli, linee nitide che sinuose contribuiscono a formare compatte composizioni
circolari dal raffinato appeal.