Tanto chiaro l’enunciato quanto complessa la sua realizzazione se il budget è limitato, il valore economico delle opere ancora instabile, le tendenze dell’arte da storicizzare, e gli ambienti originari spesso antitetici allo spazio del Museo.
Vedere questa rassegna e leggerne il catalogo è entrare nel vivo del concetto di acquisto dell’opera d’arte inteso come scelta, azzardo e inevitabile consegna alla Storia. Se poi le acquisizioni in mostra coincidono con quelle fatte da Frans Haks, durante la sua direzione al Museo di Groningen (2978-1995), si percepisce subito il fascino di una pregevole collezione antica che, ancora integra, restituisce il sapore di un’epoca e il gusto di un collezionista.
All’ingresso dell’esposizione un plastico, costruito da Abet Laminati, permette di conoscere l’intera struttura dell’edificio museale, assolutamente anomala nel panorama artistico olandese. Si tratta di una torre d’oro intorno alla quale Alessandro Mendini, incaricato dell’intero progetto, ha collocato altri quattro spazi, su cui sono intervenuti Philippe Stark, Michele De Lucchi e Coop Himmelblau. Un risultato eterogeneo e una disposizione antigerarchica che ben interpreta la politica degli acquisizioni di Haks.
Il grande dibattito di oggi sul Museo, e sul fatto che esso debba porsi o come contenitore neutro o come opera a sé stante, trova in questa mostra occasione di riflessioni sugli esiti dell’opzione “ornamentale”.
A volte sono le stanze il tema della creazione come nell’opera di Struycken e di Stolk, dove la decorazione è programmaticamente perseguita: le pareti sono dipinte con il sistema di colori usato per il museo di Groningen. Addirittura, sul tema dell’ornamento si sviluppa un intero capitolo del catalogo nella disamina di una tendenza, ormai ampiamente storicizzabile eppure ancora violentemente osteggiata, tesa a domandarsi se il museo di Groningen sia più o meno paragonabile a una Disneyland olandese come vogliono i suoi detrattori.
Il merito di questa mostra sta nel ricreare integrale alcuni ambienti mettendo così in contatto diretto il visitatore con il Museo, attraverso una parte che vale per il tutto, con la possibilità quindi di giudicare la relazione che si stabilisce tra il contenitore e le opere di Paladino, Clemente, Cucchi, Mendini, Sottsass, Shire. Zwillinger, Warhol, Lichtenstein o Koons. Nel panorama milanese inoltre si colloca come momento interlocutorio nel dibattito in corso su forme e funzioni dei nuovi musei di arte moderna e contemporanea, dibattito che ci auguriamo possa allargarsi alle fasce più attente della cittadinanza.
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Gabriella Anedi
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